I personaggi: Venus ed Elisabeth
Venere è la dea dell’Amore. Ma l’Amore si declina in numerosi modi. Così fin dall’antichità ella rappresenta valori differenti. E’ il principio della creazione. E’ la regina della bellezza. E’ la signora del piacere, della lussuria, del delirio dei sensi. E’ la Venus della mitologia tedesca che abita nel Venusberg, che sorge presso Eisenach. Nel cuore della Gemania. E’ la signora possessiva, esclusiva, gelosa. E’ la padrona vendicativa che non sopporta di essere tradita. Attende la sua vittima al varco, la cattura, la fa schiava, la condanna al tormento di un godimento senza pace. E’ la dea pagana che si è rifugiata nelle viscere della montagna per sfuggire al dilagante Cristianesimo. Ma Tannhaüser non è un dio e, come ci dice lui stesso, non può solo cercare il piacere, "godendo brama la sofferenza". Vuole il Bene, anela al Bene. Elisabeth è il Bene che in lei si declina sotto forma di bellezza, gentilezza, dignità, spiritualità, religiosità e fede. Il canto di Tannhäuser la attrae, le sommuove il petto. Anima pura, non conosce il Male e non ne suppone l’origine contaminata. Quando ne apprende la materia, distingue tra peccato e peccatore. Al primo non fa sconti, per il secondo è disposta a tutto. Anche a morire. La sua morte è il riscatto che apre all’altro le porte del Cielo. Santa Elisabetta (chiaro riferimento alla patrona dell’Ungheria, cui Wagner si ispira) redime il cavaliere cantore della lussuria. Venus, che sta per riprendersi la sua preda, torna nel Venusberg e Tannhäuser è salvo.
Venus ed Elisabeth stanno agli antipodi, sono l’alfa e l’omega. Il Male il Bene che si incarnano nella donna chiamata ad essere, secondo la vulgata romantica, Demonio ed Angelo.
La voce, i ruoli e la vocalità
Tannhäuser und der Sängerkrieg auf Wartburg va in scena a Dresda il 19 ottobre 1845. Approda il 13 marzo 1861 all’Opéra di Parigi in una nuova versione fortemente contestata e ritirata dopo tre recite. Nel 1867 si rappresenta a Monaco di Baviera in un’edizione definitiva che usa, debitamente tradotto in tedesco, il libretto francese. In questa sede, però, il problema delle versioni non ci interessa affatto. Ci torna più utile ricordare che a Dresda Venus è Wilhelmine Schröder Devrient e Elisabeth, Johanna Wagner. La prima, già Senta in Der fliegende Höllander, è cantante attrice formidabile, attiva nel repertorio belcantistico, ma capace di dare fiato alla melodia drammatica di Wagner, in virtù della sue straordinarie doti di interprete, alla cui base c’è un temperamento ardito e vulcanico. La seconda, nipote del compositore, ha diciannove anni nel 1845. E’ destinata ad una lunga e luminosa carriera di soprano drammatico che la porta a condividere la produzione dello zio, con quella del Grand-Opéra, con alcuni titoli di Gluck senza sdegnare il repertorio italiano. Rimane una wagneriana di ferro che ha il privilegio di partecipare al primo Ring, che va in scena a Bayreuth. A Parigi le due parti spettano a Marie Sass e a Fortunata Tedesco. La Sass deve essere considerata una delle voci storiche della sua epoca. Regina dell’Opéra, con brillanti precedenti al Théâtre Lyrique, sostiene parti spinte di soprano che implicano, basti l’Elisabetta del Don Carlo, anche una salda regione centro–grave. Più schiettamente sopranile risulta invece la Tedesco con una carriera che accoglie parti di soprano lirico, ma anche di lirico di agilità e di drammatico di agilità.
Potremmo dire che Venus ed Elisabeth usano una vocalità che è corretto definire di soprano-Falcon. Con questa espressione, oggi entrata nell’uso comune, si intende una voce di soprano che è capace di dominare una tessitura centrale, di utilizzare la regione grave, là dove occorra, e di spingersi in alto con escursioni che possono essere roventi, appassionate e sublimi. Non siamo però in presenza di un mezzosoprano, ma di un soprano vero e proprio. Un sottile confine separa il Falcon dal mezzosoprano, eppure è una linea ben precisa. La differenza è evidente se si mette a confronto Azucena con Amneris o meglio ancora con la Valentine de Les Huguenots. Va da sé che la vocalità di Venus, pur toccando il si naturale, faccia dell’acuto un grido che ha un sapore ben diverso delle escursioni di Elisabeth, quando la situazione drammatica lo richieda. Peraltro Elisabeth impronta il suo canto ad un sublime lirismo che Venus non ha nelle sue corde. Venus è dipinta nel grande Duetto della scena del Venusberg. Elisabeth compare solo al II Atto ed entra rugiadosa di grazia su di una musica sospinta da una spirituale sollecitudine che le detta , "Dich, teure Halle", alias quella che nei vecchi libretti suonava come "Salve, d’amor recinto eletto".
Poi mette a nudo la sua anima bella nel Duetto con Tannhäuser. Nel Finale del II Atto tocca a lei salvare il cantore dalla rabbia dei cavalieri e di pregare per la sua vita. Nel III Atto di fronte alla constatazione del mancato perdono papale non le resta che invocare l’Allmächt’ge Jungfrau, la Vergine Onnipotente, ritirarsi nel castello e morire come pegno di resurrezione.
L’interprete: Gwyneth Jones (qui gli estratti video citati nell'articolo)
Nel ’72 il Festival di Bayreuth chiama Gwyneth Jones a sostenere la doppia parte di Venus ed Elisabeth (la registrazione audio video, realizzata da quello spettacolo, è posteriore di qualche anno). Il successo e la validità della prova sono il motivo della nostra scelta che ci permette di accomunare due personaggi tanto diversi. Nel’72 la Jones è sulla breccia da dieci anni. E’ nel pieno di una carriera internazionale destinata a durare fino alle soglie del XXI. Wagner vi gioca un ruolo determinante.
La Jones è una Venus fisicamente credibile ed un’Elisabeth coinvolgente. In ogni caso è capace di reggere la scena e le scelte di un regista che le impone di mimare l’intero preludio del III Atto. Nella scena del Venusberg è avvolta in una rete rosso peccato. Mostra il volto togliendosi una maschera. Il suo canto è studiato. La Jones fa appello ai colori liliali della sua voce. La Regina del Piacere attacca con un tono disarmante che interpreta opportunamente il molto serena in corrispondenza di "Geliebter, sag!". Di battuta in battuta la voce si scalda, il fraseggio si fa teso, l’accento diviene icastico, i lunghi sol acuti suonano impetuosi, acidi, fino al si naturale imperioso di "Weh, dir, Verräter!". E’ un momento, prima di giocare la carte della seduzione che detta a Venus il lungo intervento "Geliebter, komm!" e alla Jones l’uso di un’emissione morbida a sostegno di un canto che cerca sonorità mescidate tra il petto e la testa e le utilizza per dare alla linea una sinuosità serpentina che si inerpica fino al la diesis acuto, che per un attimo tradisce la falsità di tanta dolcezza. E’ un attimo. Poi la rabbia esplode e prende la forma di un’espressività che si fa tagliente, sprezzante e sicura nei la acuti che questa volta sembrano siglare la certezza della vittoria venata di rabbia.
Pertanto è stupefacente trovarci davanti la Jones biancovestita, quando nel II Atto entra sollecita nell’ampio spazio della sala dei cantori ancora vuota ed attacca con voce ferma, piena, importante l’Aria di Elisabeth dando, con il suo timbro ricco, felice definizione del personaggio. Tralascio il problema del vibrato, che qui non è evidente e che è stato spesso imputato a demerito della Jones. Dirò piuttosto che la vocalità dell’opera tedesca ha sempre esaltato le qualità del soprano inglese. In questo contesto il vibrato rimane ininfluente, mentre esso si fa invece più evidente nell’opera italiana, dove (scusate la divagazione) le difficoltà sono altre, più complesse e legate alla difficoltà di aderire come una veste al corpo ad una scrittura che non è nelle corde della Jones come quella di Wagner. Qui tutta la pagina è condotta con giusta trepidazione in un canto che sfoga in un registro acuto luminoso. Ma i momenti forti della Elisabeth della Jones devono ancora venire e sono essenzialmente tre.
Il primo è il grande intervento del Duetto con Tannhäuser, "Ich preise dieses". In questo passo la pienezza dello strumento, mentre le consente di onorare una tessitura che impegna la regione centrale della voce, permette alla Jones di rendere quella profonda spiritualità che è propria del canto di Elisabeth. Il lettore può capire meglio quanto si vuole asserire, se si porta all’ultimo dei tre momenti che fanno grande questa Elisabeth. Mi riferisco alla preghiera del III Atto, "Allmächt’ge Jungfrau". La pagina si avvale di un canto disadorno, caratterizzato da una linea melodica di francescana semplicità. Il tessuto orchestrale è segnato dall’uso dei legni con i quali la voce dialoga scambiandosi un disegno discendente che la porta dal fa acuto al re della prima ottava; è un gesto vocale che sta quasi a significare il senso di una compiuta accettazione del volere di Dio al quale Elisabeth risponde per salvare Tannhäuser. La Jones la realizza con un canto rarefatto eppure intenso, in un gioco studiato di pesi sonori e di sonorità stesse che sembrano quasi rubare il colore ai legni. Tutta la pagina è sostenuta da un arco interpretativo continuo che non conosce cedimenti, ma che dà alla preghiera un intimo fervore. Nessuno scarto turba la linea, ma la linea stessa non si congela in un’esecuzione formalmente perfetta. Giova insomma alla Jones essere una vera interprete e non una vocalista sublime. Da qui deriva la coerenza della dinamica che quando deve assecondare il piano non cade nella tentazione di un assottigliamento eccessivo del suono stesso e di conseguenza il sol forte è proporzionale alla concentrazione mistica, al momento drammatico, all’atmosfera notturna in cui Elisabeth prega.
Tra il primo momento e questo, che suggella anche il percorso del personaggio, c’è l’intervento imperativo del Finale del II Atto, quando allontana i cavalieri desiderosi di punire il bestemmiatore. Allora la voce di Elisabeth si vena di dolore, quando dice "Indietro! Io non temo la morte! Cos’è la ferita del vostro ferro a fronte del colpo mortale che ricevetti?" (prendo la traduzione da Tutti i libretti di Wagner, a cura di Olimpio Cescatti Garzanti). E’ la premessa al lungo intervento "Via da lui!. Non siete voi I suoi giudici!". Dopo l’agitazione iniziale, in corrispondenza dell’Andante, "Der Unglücksellge, den gefalgen" la Jones ritrova la vibrante compostezza che lo fa forte e determinata, piena di espressione senza ledere la bellezza della melodia. Da qui si va al grande concertato dove la Jones si fa sentire tra gli altri e sugli altri, dando compiuta incarnazione ad una vocalità wagneriana che, affrancandosi dai precedenti modelli, sta facendo prova di un linguaggio tutto nuovo.
Giancarlo Landini
scarica il libretto in formato pdf completo di traduzione italiana a cura del sito www.dicoseunpo.it