a cura di Emanuele Amoroso e Gabriele Cesaretti
Sommario:
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Il disco … dopo la cena, Re e Regina, Principe Reale e Principessa furono a porre in letto li duoi amabili cori. Postosi in letto si restò all’oscuro, per quello che fanno tutti la prima notte. Il povero scrittore solo non puole ottenere simili e piacevoli notti oscure. (Archivio Pepoli, Carteggi, Lettera di Carlo Broschi, detto Farinelli del 14 novembre 1739) Quella posta in epigrafe è una delle rarissime frasi con cui Carlo Broschi, detto Farinelli (probabilmente il castrato più famoso della storia) commenta con ironia amara la propria condizione di mutilato. La vicenda degli evirati cantori (tanto gloriosa musicalmente quanto aberrante umanamente) interessò il mondo musicale occidentale per non meno di tre secoli e al suo periodo aureo (identificabile essenzialmente con la fase che, da fine ‘600, proseguirà fino alla metà del XVIII secolo) viene dedicata l’ultima fatica discografica di Cecilia Bartoli: un corposo album di due cd, contenenti circa 100 minuti di musica, intitolato Sacrificium. L’idea di un disco tematico contenente alcune delle più difficili e affascinanti arie composte per castrati (provenienti spesso da lavori perlopiù sconosciuti con titoli alquanto improbabili, come il Germanico in Germania di Porpora) non è nuova, ma certamente poche delle iniziative precedenti avevano potuto usufruire dell’imponente battage pubblicitario che la DECCA organizza attorno a ogni novità della sua diva. Ricordiamo almeno i vari album tematici che, sull’onda del film ‘Farinelli il castrato’ di Gérard Corbiau, sono stati incisi da sopranisti come Angelo Manzotti e Aris Christofellis; il mezzosoprano Vivica Genauz ha invece dedicato un album ad arie composte per Farinelli così come hanno fatto i controtenori Andreas Scholl e Philippe Jaroussky rispettivamente per il Senesino e Carestini. Il prodotto DECCA, tuttavia, ha dalla sua la possibilità di poter contare su undici prime incisioni assolute (la dodicesima, ‘Nobil onda’ dall’Adelaide di Porpora, non è tale perché battuta al photofinish dall’incisione di Karina Gauvin nel recentissimo ‘Porpora Arias’) nonché su un’impressionante lavoro editoriale, che ha condotto alla pubblicazione di un corposo cofanetto contenente due saggi e un dettagliato ‘Compendio dei castrati’ per penetrare il mondo così particolare dell’opera settecentesca. Non servirà specificare che il tutto è offerto esclusivamente in inglese, francese e tedesco con la possibilità, tuttavia, di scaricare il pdf della versione italiana dal sito ufficiale della cantante romana. |
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Gli Evirati Cantori Gli evirati cantori fanno parte dell’opera lirica fin dalle sue origini, per quanto spesso impiegati in ruoli non protagonisti: ne diventano, invece, i padroni alla fine del ‘600 conquistando un’egemonia artistica che durerà almeno fino ai primi anni dell’800 con l’ultimo grande castrato destinato all’opera lirica, Giovanni Battista Velluti, per cui Rossini e Meyerbeer composero rispettivamente Aureliano in Palmira e Il crociato in Egitto. È impossibile riassumere in poche righe l’entità di un fenomeno culturale che, nel tentativo di ricreare perfette macchine per cantare agendo sul corpo umano, donò alla musica centinaia di grandissimi artisti ma condannò all’oblio, alla disperazione e, presumibilmente, al suicidio, centinaia di migliaia di ragazzini sottoposti al barbaro intervento dell’orchiectomia. L’orchiectomia consisteva nella legatura o asportazione del funicolo testicolare, arrestando così la secrezione di testosterone, l’ormone che avrebbe causato la muta della voce e la crescita della laringe: il ragazzo castrato, sottoposto in seguito all’intervento a una massiccia educazione musicale, avrebbe così potuto contare sulle corde vocali di un adolescente (alla base della straordinaria estensione vocale) unite all’ampliamento della cassa toracica (il cosiddetto petto carenato, secondo alcuni tra le conseguenze della castrazione) che permetteva fiati di strabiliante lunghezza in arie che arrivavano a coprire fino a oltre tre ottave di estensione. Resta inteso che chi subiva l’orchiectomia perdeva ogni facoltà di procreare e, in barba ai miti sulla leggendaria resistenza sessuale dei castrati, limitava di parecchio anche quella di copulare; altre cause dell’operazione potevano anche essere senilità precoce e terribili forme di malinconia. Anche ammettendo che la gloria e il successo di chi riusciva a compiere una carriera prestigiosa avessero potuto compensare la sensazione di essere stati al centro di un terribile esperimento sulla carne umana, erano davvero ben pochi quelli che riuscivano a sfondare nel mondo del teatro: chi non ce la faceva poteva ripiegare sull’insegnamento o sui cori ecclesiastici (i castrati restarono in vigore, presso la Cappella Sistina, fino ai primi anni del ‘900, e dell’ultimo castrato, Alessandro Moreschi, ci sono persino pervenute alcune registrazioni). Non si deve nemmeno trascurare il destino di chi, negli ambienti più poveri, veniva fatto castrare da medici itineranti con pochi scrupoli (norcini). Il tentativo, terribile e patetico, era quello di garantire al malcapitato un pasto e un letto caldi (le stanze degli allievi di canto, nelle scuole di musica, erano quelle meglio riscaldate) ma spesso l’operazione avveniva sul ragazzo senza averne prima testato le reali capacità canore e vocali: tali malcapitati negati allo studio della musica, per giunta impossibilitati dalla castrazione ad assumere lavori pesanti, avrebbero potuto scegliere tra il suicidio o la prostituzione. In mancanza di dati certi possiamo affidarci a quelli contenuti nel disco: a fronte di circa un centinaio di cantanti che ottennero fama, gloria e successo vennero castrati, per circa un secolo e mezzo, circa quattromila bambini all’anno. Un numero spaventoso, acuito dall’ipocrisia di leggi pontificie (il centro e il sud Italia sono state le zone più prolifiche di castrati) che, se da un lato vietavano la castrazione dall’altro vietavano al contempo l’esibirsi di donne sui palcoscenici: singolare e indicativo è quanto avvenne alla prima esecuzione dell’haendeliano Oratorio per la Resurrezione di Gesù Cristo, prevista nella Pasqua del 1708 presso Palazzo Bonelli in Roma. Il Marchese Ruspoli, mecenate dell’evento, aveva impiegato, nel ruolo di Maria Maddalena, Margherita Durastanti (futura primadonna haendeliana a Londra) ma venne ammonito dalle autorità ecclesiastiche: alle repliche dell’oratorio la parte venne così affidata ad un castrato per esplicito desiderio della medesima autorità che puniva, formalmente, con la morte chi praticava la castrazione contro la volontà del giovinetto (ma all’uopo bastava sanare la questione con una dichiarazione, veridica o meno poco importa, in cui il ragazzo stesso implorava la castrazione, oppure si giustificava l’operazione con un incidente o un morso d’animale…). Si trattò, in breve, di un enorme sacrificio alla musica. |
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L'accusa Sacrificium è, appunto, il titolo del nuovo prodotto discografico di Cecilia Bartoli che, al vaglio dei melomani e dei vociomani in senso stretto, occhieggia con la sua copertina marmorea e incuriosisce l’appassionato. Il cd è costruito, infatti, come omaggio (e quasi denuncia sociale) verso i castrati. Nulla di nuovo, pertanto, nel ricordare lo strazio umano che si compiva ai fini della bellezza artistica. L’ascolto di arie dedicate ai celebri castrati settecenteschi è invece meno immediata, o meglio direttamente fruibile attraverso le opere di tuttora frequente esecuzione, ma pressoché nulla per le innumerevoli pagine lasciate a giacere nelle biblioteche. Pertanto il lavoro meticoloso di riproposta e riscoperta non va altro che lodato.
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La difesa Anche prescindendo dalla lussuosa e curata confezione, Sacrificium si rivela un prodotto assemblato con tutti i crismi e con la cura dovute a un evento discografico di tale rilevanza. Pregi e difetti della Bartoli di sempre sono presenti all’appello nelle quindici tracce che compongono il recital nella spiccata comunicativa, nel carisma invidiabile, nella musicalità impeccabile e nello splendido istinto musicale della cantante romana, ma anche nell’emissione che sembra sempre procedere col fiato anziché sul fiato, nel fraseggio talmente caricato e ricercato da sfiorare il manierismo e nella coloratura elettrica e precisa, sì, ma anche terribilmente meccanica e algida. Tuttavia la natura di queste pagine è così particolare da riassorbire buona parte di questi limiti, confermando (dopo le ottime riuscite degli album dedicati a Vivaldi, Gluck e Salieri, nonché di ‘Opera Proibita’) che nel repertorio settecentesco Cecilia Bartoli riesce a trovare terreno fertile per il suo protagonismo e per il suo carisma. Ascoltiamo arie dove le colorature cui è chiamata la voce umana sono ai limiti dell’inseguibile e, comunque, spesso molto fini a se stesse nel descrivere di volta in volta frane montane (‘Cadrò, ma qual si mira’, forse la più spettacolare di tutte da questo punto di vista), voli ineguali di farfalle (‘Qual farfalla’), mari in tempeste furiose (la celebre ‘Son qual nave’) ma anche baluginii di fulmini e temporali (‘Chi temea Giove regnante’): alle prese con brani talmente ricchi di difficoltà esecutive quanto poveri di verità umana la meccanicità della coloratura bartoliana non solo non infastidisce, ma risulta persino funzionale e adattissima alla fruizione di musiche sovente non stupefacenti. Discorso simile e opposto al tempo stesso per le arie in tempo lento: opposto perché qui di musica splendida ce n’è parecchia (la struggente nenia ‘Qual buon pastor son io’, ad esempio, di commovente bellezza), che il particolarissimo pathos di cui dovevano essere dotati i castrati doveva valorizzare ai massimi livelli, ma simile perché anche in questo caso il fraseggio eccessivo e fin’anche manierato della Bartoli sembra decisamente appropriato alle dimensioni davvero disumane di pagine di sublime stasi espressiva, esternate in linee vocali di estenuata ampiezza. Il risultato è un disco che reputo superiore, e non di poco, all’interlocutorio ‘Maria’ del 2007 e che si lascia ascoltare con piacere. La Bartoli è coadiuvata dall’eccellente complesso Il Giardino Armonico guidato da Giovanni Antonini che, come già in ‘The Vivaldi Album’, offre una performance di grandissima brillantezza e di eccellente precisione esecutiva. C’è da attendere il tour mondiale e la prossima uscita di un probabile dvd (come per ‘Maria’) per valutare la resa live di arie di così improba difficoltà che, in studio, la Bartoli affronta con fiati di invidiabile lunghezza e con grande brillantezza espressiva. La registrazione è eccellente, come nei consueti standard DECCA. |