Lo scorso 14 marzo è morto a Berlino all’età di 88 anni da poco compiuti il compositore tedesco Aribert Reimann, esponente di spicco nel ventesimo secolo di quel genere definito Literaturoper, cioè la messa in musica non d’un libretto completamente originale, ma d’un testo drammatico preesistente, piú o meno abbreviato (in molti casi proprio dal compositore), con poche modifiche e senz’apprezzabili aggiunte rispetto ad esso. Scrittore “di voci” e “per le voci”, con il suo stile formalmente espressionista ma capace di fondersi con ampie volute di lirismo tonale, ebbe un rapporto privilegiato soprattutto con Dietrich Fischer-Dieskau, per il quale scrisse il ruolo di re Lear nell’opera che da lui prende nome, e Martha Mödl, protagonista delle prime di Melusine e Die Gespenstersonate.
Il suo catalogo comprende nove opere liriche e una vasta produzione di composizioni per orchestra, Lieder e musica da camera eseguite con una certa frequenza anche in Italia (il Lear, in particolare venne dato in prima assoluta italiana a Torino nel 2001 con la regia di Luca Ronconi e ripreso nel 2019 a Firenze).
Per ricordarlo stralciamo, con qualche aggiornamento, l’ampia analisi della sua figura artistica che fece Vittorio Maschera in occasione della messa in scena di Medea alla Staatsoper di Vienna nel febbraio-marzo 2010 (qui la recensione completa)
Note biografiche
Aribert Reimann, nato a Berlino nel 1936 e tuttora abitante nella capitale tedesca, è persona che alle “belle bandiere” dell’adesione a scuole o della creazione di esse ha sempre preferito la tranquilla e ferma difesa della propria individualità di compositore. Medea, “opera in quattro quadri” presentata alla Staatsoper di Vienna il 28 febbraio scorso, è l’ottavo titolo del suo canone teatrale, o il decimo se contiamo anche un paio di balletti. Come tutte le precedenti creazioni operistiche di Reimann, anche l’ultima ha durata idonea a “fare serata”, e rispetta l’antica usanza della composizione su commissione e su misura della vocalità degl’interpreti previsti. E anche ripete la caratteristica d’essere una Literaturoper … Storicamente, questo genere che deve il suo atto di nascita, seppure per altri scopi, al Dargomyžskij e che celebrò il suo primo, anche se a lungo ignoto trionfo con la versione 1868-69 di Boris Godunov; ebbe poi un grande impulso all’inizio del secolo successivo grazie all’esempio francese di Claude Debussy, ma ha ricevuto i suoi contributi più citati da autori di lingua tedesca, da Salome, al Wozzeck e alla Penthesilea dello svizzero Othmar Schoeck.
Dopo le sette opere composte tra il 1963 e il 2000, cioè Ein Traumspiel (“Un sogno”, da Strindberg), Melusine (da Yvan Groll), Lear (da Shakespeare, mediato dal rifacimento d’una versione tedesca del Settecento), Die Gespenstersonate (“La sonata degli spettri”, ancora da Strindberg), Troades (“Le Troiane”, da Euripide, nell’adattamento tedesco di Franz Werfel), Das Schloss (“Il castello”, dal romanzo di Kafka drammatizzato da Max Brod) e Bernarda Albas Haus (“La casa di Bernarda Alba”, estremo, poderoso testo teatrale di García Lorca), la commissione offerta a Reimann nel 2005 dalla Staatsoper di Vienna, teatro dove non era mai stata rappresentata alcuna sua opera, ha indotto il musicista berlinese a comporre sull’antico mito di Medea, come riscritto intorno al 1820, in modo significativamente diverso dall’archetipo euripideo, dal poeta austriaco Franz Grillparzer, noto in Italia quasi solo per avere dettato le orazioni funebri in onore di Beethoven e di Schubert.
La grande dimestichezza di Reimann con la scrittura vocale è testimoniata, oltre che dal suo catalogo operistico, anche da una ricca serie di Lieder composti lungo tutto l’arco della sua carriera, dei quali taluni senz’accompagnamento strumentale. Anche questi pezzi sono stati sovente pensati e scritti per i mezzi d’uno specifico cantante, da Fischer-Dieskau alla Schäfer, dalla Barainsky a Thomas Quasthoff. Questa dimestichezza nasce dalla duplice esperienza di puer cantor, con la quale, nella Berlino dell’immediato dopoguerra, Reimann undicenne s’era conquistato una certa fama come interprete dell’«Et incarnatus» della Messa in Do minore di Mozart, e d’accompagnatore al pianoforte degli allievi di canto della madre, un mezzosoprano attivo sia come didatta, sia nel repertorio liederistico e sacro (il padre era organista di solida tradizione luterana). L’attività di pianista di Liederabende, ma anche di solista, accompagnò a lungo la carriera musicale di Reimann, culminando forse nella splendida registrazione della Winterreise schubertiana con Brigitte Fassbaender. Accanto alle opere e alle composizioni vocali, rappresentano un capitolo importante del suo catalogo i pezzi per pianoforte, pochissimi di numero ma tutti d’alta qualità: dalla Prima sonata, composta nel 1958 e ancora palesemente sotto l’effetto della scuola di chiarezza e ironia di Boris Blacher, ai tre numeri di Auf dem Wege (“In cammino”), composti a cavallo dell’opera Das Schloss.
Dopo Medea, Reimann era tornato ancora una volta all’opera, con L’invisible, “trittico” derivato da tre atti unici di Maurice Materlinck e presentato alla Deutsche Oper di Berlino nell’ottobre del 2017
Domenico Ciccone