Il personaggio
La vergine guerriera che libera la Francia e che la Francia elegge a sua protettrice è stata corteggiata dalle arti figurative, dal teatro, dalla letteratura, dal cinema. Tutti a cercare di svelare il mistero di questa ragazza, amata e odiata, calunniata e santificata.Verdi ne fa una creatura dolce e al contempo forte. Una ragazza coraggiosa. Tutta protesa nella sua missione, quella di liberare il suo paese e di salvare il suo re. Ma contro di lei lavorano le forze del Male che la turbano: l'amore per Carlo, che non può e non vuole abbracciare, la presenza di un padre invasivo piú che invadente, un padre padrone fanatico e violento, disposto ad accusarla di essere preda di forze malvage, le voci celesti e diaboliche che ella sola sente e che la fanno strana agli occhi degli altri. Dopo avere vinto, non le resta che morire, tra le braccia di Carlo e del padre, a conclusione di un dramma in musica che semplifica la storia, che le evita il processo e il rogo: faccende troppo complesse per l’opera italiana del primo Ottocento.
La voce, il ruolo e la vocalità
Giovanna d'Arco va in scena il 15 febbraio 1845 alla Scala di Milano, ultima fiammata di un rapporto, quello tra il compositore e il teatro milanese, che avrebbe dovuto aspettare tempi migliori per riprendere. L’opera ottiene in buon successo in virtù della presenza di Erminia Frezzolini già Giselda alla prima assoluta dei Lombardi alla prima Crociata. La incontriamo nel II Quadro del Prologo. La solitudine della mistica foresta ospita la sua preghiera, "Sempre all'alba ed alla sera", il suo sogno, turbato dalle voci, e l'incontro con il re. La vocalità alterna momenti di intatto lirismo, un raccoglimento sospeso tra il mistico e il bucolico, e un canto sfogato che però non conosce mai l'esaltazione di Giselda. Per Giovanna Verdi sfrutta il vocalismo estatico della Frezzolini e costruisce una scrittura dove i passi fioriti sono sempre improntati alla grazia, alla freschezza e alla semplicità. Lo dimostra l'Aria del I Atto, "O fatidica foresta" , mentre il successivo Duetto con il Re è più agito e drammatico, segnato da un melodia dal profilo più pronunciato. Nel II Atto la parte impallidisce, mente nel III il Duetto con il padre e la scena della morte non aggiungono molto al ritratto tracciato in precedenza, ma offrono, specie la scena della morte, altrettante occasioni per permettere al soprano di brillare. Non a caso la Frezzolini vi faceva furore, portando a casa il successo della serata. Giovanna è dunque un compiuto esempio di soprano lirico d’agilità che guarda ai modelli del primo Ottocento, ma li rivive alla luce della nuova sensibilità verdiana che spinge le voci a cercare una maggiore intensità, anche in una parte come questa che non può essere considerata drammatica.
L’interprete: Katia Ricciarelli
Katia Ricciarelli si affaccia alla celebrità nel 1971, quando vince il Concorso per Voci Verdiane, indetto dalla Rai. Si presenta con "Non so le tetre immagini" dal Corsaro e canta il pezzo in maniera talmente mirabile da fare apprezzare una pagina che fino allora nessuno ha mai preso in seria considerazione. La vittoria indirizza il giovane soprano verso il repertorio verdiano che abbraccia spingendosi troppo velocemente anche verso partiture - penso al Ballo o all'Aida - che forse sarebbe stato meglio non affrontare o affrontare con più cautela. La sua voce purissima era più adatta alle opere del primo Ottocento o a quelle verdiane degli Anni di Galera, pur evitando anche in questo caso, i personaggi troppo spinti come Lucrezia Contarini.
Intanto, dopo le esecuzioni del 1951 alla Rai di Milano e al San Carlo di Napoli con Renata Tebaldi nel ruolo del titolo, Giovanna d’Arco attende chi sappia riportarla in vita. Il compito tocca alla Ricciarelli: la parte di Giovanna sembra scritta proprio per lei. Nel 1972 la canta all'Opera di Roma e alla Fenice di Venezia: se la porta via e ne fa una creazione. Le foto ritraggono una Giovanna bellissima, radiosa di gioventù, incorniciata da una capigliatura di abbagliante fulgore: compiuta e credibile incarnazione della Pulzella. Ma il miracolo lo fa la voce. Agli esordi il timbro della Ricciarelli è tra i più belli che si siano ascoltati in tutto il XX sec. E’ una voce intensa, compatta, femminilissima, ma non muliebre come quella della Tebaldi. E’ più stilizzata, senza perdere in intensità. La gamma sembra rivestita di uno smalto prezioso e che dà alle note la luminosità di un opale, il colore brillante della perla, la scivolosa bellezza della seta. E’ una voce purissima senza screziature sensuali. Quello che potrebbe essere un limite, in questo caso diventa un pregio. È la voce di Giovanna, adatta a raffigurare il suo trasporto mistico, il suo incanto, la naturalezza di una preghiera semplice e spontanea, quell’aureola naif che la caratterizza. È una voce che incanta e rapisce, che da solo le permette di costruire il personaggio.
Il miracolo avviene fin dal Recitativo d’entrata, "Oh ben s’addice", che la Ricciarelli intona con il giusto timbro e il colore opportuno per rendere la semplicità di questa fanciulla cresciuta in un ambiente a metà tra il mistico e il bucolico. Figlia della belcanto Renaissance la Ricciarelli non è in difficoltà di fronte ai passi fioriti a cominciare da quello in corrispondenza di "l’alma che vola", dove la voce batte prima sui la acuti naturali e poi scende giù fin al re diesis grave, con una escursione di quasi due ottave. Quando il ritmo si fa marziale la Ricciarelli sa dare all’accento quel piglio guerriero che il passo richiede. Intona con fermezza l’Andante, "Sempre all’alba ed alla sera". Trae adeguato partito dal ritmo puntato che, seguendo le indicazioni di Verdi dice con passione e poi con energia. Tuttavia non negheremo che in corrispondenza di "mi riposo" avremmo voluto sentire un pianissimo più evidente. In compenso la Ricciarelli affronta con sicurezza i passi fioriti della seconda parte della Cavatina. Emette magnifici la naturali di una morbidezza paradisiaca, ma al contempo piena ed intensa. Va alla conclusione con sicurezza, sottolineando sia il con grazia, sia il dolcissimo, mentre la tessitura si fa severa per la presenza di si naturali nel corso della melodia e nella cadenza. In questo caso, però, bisogna lamentare (lo faremo anche più avanti) che con una guida più incline allo stile del belcanto la riuscita della Cavatina sarebbe stata più appropriata e più prossima a quello che doveva essere il canto aereo ed angelicato della Frezzolini.
Nel successivo Terzetto, "Son guerriera che a gloria ti invita" non manca di slancio, ma nell’edizione veneziana l’effetto è modesto, perché il direttore, Carlo Franci, avrebbe dovuto staccare il tempo con altro piglio: marcare il ritmo, che Budden definisce sgraziato, e piegarlo a fini drammatici, come fa James Levine nell’incisione con Montserrat Caballé e Placido Domingo.
Il miracolo si ripete nella Romanza della scena del giardino del I Atto, "O fatidica foresta". La semplicità della melodia che i passi fioriti impreziosiscono senza offenderne la naturalezza trovano nella Ricciarelli interprete ideale che nel gioco dei confronti con la Tebaldi e la Caballé si ritaglia un posto particolare proprio per la freschezza di un canto meno muliebre di quello della prima e meno sfumato di quello della seconda. Stupisce l’omogeneità della gamma che assicura pienezza alla frase anche quando essa si muove nella prima ottava della voce. Meraviglia la semplicità con cui il soprano dipana i passi semisillabici, le piccole roulades che Verdi utilizza per rendere la liliale felicità del personaggio e del momento. Spiace però che la Ricciarelli non sia stata spinta a sviluppare le corone che Verdi segna, evidente invito a proseguire la coloratura. Ma credo che il problema stia nelle due bacchette preposte all’edizione romana e a quella veneziana, ambedue estranee alla cultura del belcanto. Lascia ammirati il si bemolle acuto di "Che più l’alma". Colpisce la naturalezza con cui la Ricciarelli realizza il con espressione di "O mio padre", mentre si rimane ancora una volta rapiti dalla morbidezza del la bemolle acuto che conclude la pagina e prima ancora di quello della roulades di "capanna", sul quale Verdi prescrive dolce: un’indicazione che la Ricciarelli realizza pur all’interno di un canto franco e sorgivo.
La fraseggiatrice ha modo di emergere nel successivo Duetto con Carlo: la grande pagina che chiude il I Atto. La Ricciarelli esprime la commozione di "Io più non sono l’inviata di Maria", l’agitazione e il terrore di "Lasciami, lasciami-son maledetta!", l’involo venato di malinconia di "Oh perché sui campi in guerra?". La pagina esce trasfigurata come avviene anche nell’intervento di Giovanna nel concertato finale del II Atto. Con l’intuito degli artisti di razza, quando la Ricciarelli intona "L’amaro calice sommessa io beva" il clima si scalda, l’atmosfera si fa incantata e l’opera prende di nuovo quota.
Il Duetto con Giacomo, il padre, che apre il III Atto, è un capolavoro di purezza e di trepidazione. La prima pervade "Amai, ma un solo istante", la seconda dà forza "ai bellici sentieri" e alla richiesta della "spada".
La scena della morte è un capolavoro: la Ricciarelli dice benissimo il Recitativo, "Oh padre!...Oh re!..." e poi intona "S’apre il ciel…discende la Pia". L’accento, racchiuso nella patina di una voce straordinaria, le consente di onorare la leggerezza richiesta per "m’addita". La Ricciarelli stacca adeguatamente "par che accenni" dando bel risalto al si bemolle che ancora una volta suona bellissimo, mentre accompagna con grazia naturale la sestina che porta la voce al re bemolle.Tutto il passo è impegnativo per una tessitura che scende fino al do centrale e tocca in un crescendo emotivo il do acuto, pur all’interno di una vocalità che non perde mai di vista il tono estatico e che quindi non può sopportare scarti eccessivi che incrinino la purezza della linea melodica. Siamo di fronte ad uno dei momenti più alti della Verdi Renaissance.
Giancarlo Landini
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Libretto di Giovanna d'Arco in formato pdf | 104.38 KB |
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Giovanna d'Arco: "Oh ben s'addice questo...Sempre all'alba" - K.Ricciarelli - ed. 1972, La Fenice di Venezia, dir. C. Franci
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Giovanna d'Arco: "O fatidica foresta" - K.Ricciarelli - ed. 1972, La Fenice di Venezia, dir. C. Franci
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Giovanna d'Arco: "L'amaro calice - sommessa io bevo" - K.Ricciarelli - ed. 1972, La Fenice di Venezia, dir. C. Franci
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Giovanna d'Arco: duetto "Amai, ma un solo istante" - K.Ricciarelli e M.Zanasi - ed. 1972, La Fenice di Venezia, dir. C. Franci
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Giovanna d'Arco: "Che mai fu - Oh padre!... Oh re!" - K.Ricciarelli - ed. 1972, La Fenice di Venezia, dir. C. Franci
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Giovanna d'Arco: "S'apre il cielo..." - K.Ricciarelli, F.Labò, M.Zanasi - ed. 1972, La Fenice di Venezia, dir. C. Franci