A Viareggio, in quel gioiello che è Villa Argentina, è in corso la mostra Maschere Movimento Manifesti: Lucio Venna e Giorgio de Chirico, curata da Paolo Riani con Andrea Mazzi e promossa dalla Fondazione Carnevale di Viareggio assieme al Museo del Carnevale di Viareggio.
Si parla di futurismo e di metafisica; il primo è rappresentato da Lucio Venna, uno dei padri del movimento. Venna, pseudonimo di Giuseppe Landsmann, fu anche un celebre cartellonista chiamato a realizzare le locandine e i manifesti per il Carnevale di Viareggio nella seconda metà degli anni Venti; nella mostra è esposto il lavoro preparatorio con i bozzetti, le veline e, poi, il manifesto compiuto, assieme ad alcuni dipinti.
Per la metafisica il nome di riferimento è quello di Giorgio de Chirico ed è proprio in merito a lui che ne scriviamo su queste pagine “specializzate” in opera lirica.
Nelle sale di Villa Argentina, la quale merita comunque una visita, sono stati portati venti costumi originali e alcune riproduzioni dei bozzetti delle scene, opera di de Chirico per I Puritani della prima edizione del Maggio Musicale Fiorentino, nel 1933. I bozzetti riprodotti provengono dall’Archivio Storico del Maggio Musicale, i costumi dalla Fondazione Cerratelli: l’occasione per poterli vedere così da vicino è unica e il loro rigore ambientato in queste sale fastose, in cui fiorisce un sinuoso liberty, appare ancora più straniante. La selezione di essi, qui esposta, si oppone alle opere di Venna, con l’immobilità del mondo metafisico contrapposta al dinamismo del futurismo e rimanda allo stretto dialogo che c’è tra il costume scenico e il carnevale.
La prima edizione del Maggio Musicale fu un grande evento, venne aperta da Nabucco seguito da Lucrezia Borgia, La Vestale, Falstaff (direttore De Sabata), La Cenerentola e infine I Puritani; come le altre opere anche questa presentava un cast di tutto rispetto: dirigeva Tullio Serafin, la regia era di Guido Salvini; per la parte vocale basta rammentare Ezio Pinza e Giacomo Lauri Volpi, Nadia Kovaceva e Mercedes Capsir. Nomi che ancora oggi evocano grandi serate.
La produzione della parte visiva, come abbiamo già detto, fu affidata a Giorgio de Chirico.
Il maestro non era nuovo al mondo del teatro, la sua arte è strettamente riconducibile ad esso: “le sue piazze sono dei palcoscenici veri e propri, le sue luci sono piazzati degni dei più celebri light designer e le sue architetture quinte che delimitano lo spazio scenico, a dimostrazione che il suo impegno per il teatro risulta una vocazione naturale”, così scrive Diego Fiorini, direttore della Fondazione Cerratelli, nel saggio contenuto nel bel catalogo della mostra.
Insomma, de Chirico disegnò i bozzetti delle scene e i figurini, questi furono consegnati alla sartoria della Casa d’Arte Cerratelli – fondata a Firenze nel 1914 dall’omonimo baritono - che, a tempo di record, scelse i tessuti adatti a ricevere l’intervento pittorico del maestro per poi realizzare: “… 180 costumi dipinti. Cerratelli divenne un grande atelier d’artiste dove i ricamatori e i tintori di Cerratelli divennero, capitanati da Giorgio de Chirico, pittori e realizzatori di costumi eccezionali, vere pietre miliari della storia del costume di scena”, ancora ci dice Fiorini, che poi prosegue nel narrare del lavoro grandioso che ne sortì, delle enormi aspettative finché la sera del 25 maggio … “fu un fiasco tremendo, l’unico flop di tutto il ricchissimo cartellone del nuovo festival voluto tenacemente dal regime fascista che molto investì con indubbia genialità per renderlo fin da subito un festival di respiro internazionale”.
Sarebbe dovuta essere l’occasione in cui sperimentare nuovi linguaggi per scenografie e costumi per il melodramma: l’arte metafisica doveva caratterizzare il festival con Lucrezia Borgia e La Vestale di Spontini affidate rispettivamente a Sironi e Casorati: queste passarono indenni sotto le forche caudine di un pubblico che poi si inferocì verso de Chirico.
Tutte le recite erano affollate, il costo dei biglietti era molto alto: si trattava quindi di un pubblico particolarmente selezionato e raffinato che, conclude Fiorini, “di fronte alla messinscena di de Chirico protestò clamorosamente, l’assoluta novità visiva fu considerata un oltraggio alla tradizione e infedeltà ai voleri del libretto. Ad onor del vero tutte le richieste del librettista Pepoli furono rispettate ma con un tratto e una cifra stilistica che il pubblico del ’33 non comprese”.
I giornali inveirono contro l’allestimento, tanto che il locale quotidiano «La Nazione», il 26 maggio 1933, scrisse: “Scene e costumi disgraziati perché oltre a non creare ambiente e clima consono all’azione, si sentono frutto di una non sapremmo dire se leggerezza o faciloneria nell’esecuzione”.
Invece «L’Universale», giornale dell’ala avanguardista del partito fascista, difese lo spettacolo: “…gli scenari di Giorgio de Chirico sono molto belli e sono stati un opportuno e igienico cazzotto negli occhi del pubblico fiorentino una parte del quale, presa alla sprovvista, ha strillato un po’: cosa naturalissima e punto inquietante. È tutta questione di abitudine, cioè di imporre alle folle l’arte moderna, senza incertezze e senza suffragio universale. Il gusto e il costume artistico si formeranno solo così e non ascoltando il parere del sor cavaliere, le proteste del generale a riposo, i consigli dei bottegai: tutta brava gente, la quale, una volta fatto il callo, stupirà d’essersi tanto scandalizzata o piuttosto non se ne ricorderà neppure”. A leggere questa parole - per certi versi un po’ agghiaccianti - c’è da pensare che nulla sia cambiato nel mondo del teatro d’opera …
La polemica andò avanti per mesi e sempre in una maniera furibonda, platealmente “fiorentina”; poi le cose si calmarono, e nel 1934 su «Scenario», forse a firma di Silvio d’Amico, apparve un articolo: “Al Maggio Musicale Fiorentino, nel politeama di Firenze, si ebbe uno spettacolo mai visto: quello di un pubblico immenso che, a ciascuna replica de I Puritani, ogni volta che il sipario si apriva si levava in piedi vociferando e gesticolando, in una sorta di furore che durava lunghi minuti e soffocava orchestra e cantanti. Quale il motivo di così pertinace, inaudito, formidabile insuccesso? … quel pubblico lì vuole il cielo vero, le stelle vere, le nuvole vere, vuole il vero cavallo di Brunilde, la vera foresta di Sigfrido, il fuoco vero dell’incanto… immaginarsi l’accoglienza di un tal pubblico alle irreali stampe di de Chirico, con quei cannoni bianchi e quegli alabardieri di gesso, e quegli eroi stupefatti e transumani”.
Solo nel 1989, in occasione del centenario della nascita del pittore, I Puritani “di de Chirico” vennero riportati sulla scena del teatro fiorentino.
Intanto c’era stata l’alluvione del 1966 che aveva distrutto buona parte dei magazzini della Cerratelli; solo alcuni dei costumi originali si salvarono e grazie a questi e ai bozzetti conservati nel prezioso Archivio del Maggio Musicale (un’istituzione unica nel suo genere), si poté procedere alla realizzazione di nuovi costumi: mettendo a disposizione la sapienza artigiana della Cerratelli e la tecnologia dei laboratori del Maggio questi vennero ricreati come in origine, usando il solito tessuto, i soliti pigmenti, le solite tecniche di decorazione.
Assieme ai costumi (solo questi attualmente sono 187) vennero confezionate le calzamaglie dipinte e decorate, i cappelli e le celebri maschere per gli armigeri e i soldati: segno metafisico inconfondibile di Giorgio de Chirico.
Cito ancora il saggio di Diego Fiorini perché, parlando anche di cose tecniche, ci permette una lettura attenta di questi preziosi manufatti: “L’intervento pittorico conferisce ai costumi ideati da de Chirico, ridotti nei volumi e semplificati nelle fogge, l’austerità, la solennità e la forza che caratterizza i singoli personaggi. Sul panno di pilor di cotone bianco, come una pagina di album da disegno la pennellata decisa, geometrica e sicura traccia con i colori più sgargianti della tavolozza segni elementari e diretti che identificano i ruoli, i casati e le caratteristiche di ogni singolo personaggio. … il concetto espressivo è quello empirico della poetica metafisica dove predomina l’immobilità più assoluta, e dove il pennello enigmatico del maestro lascia assaporare i tratti netti e distinti di una logica decorativa irreale ma che nella sua semplicità araldica diventa suggestiva e tangibile. Spesso gli elementi di militaria vengono astrattamente reinterpretati, gli spallini e i gradi divengono come piccole mani o foglie imbottite e le cinture semplici fasce imbottite decorate e le piume dei cappelli da cavaliere sono rese sartorialmente da sottili strisce di pilor fissate su un’anima di fil di ferro a simulare antichi piumaggi”.
E finalmente fu un successo, di pubblico e di critica, come lo racconta Rubens Tedeschi sull’«Unità» del 27 maggio 1989.
Il titolo recita “Puritani – de Chirico, pace fatta” e prosegue “Dominati da un de Chirico 1933, i Puritani di Bellini hanno riscosso un vivo successo al Maggio fiorentino, grazie al virtuosismo vocale di Chris Merritt e di Luciana Serra. La polemica anticonformista del pittore, oliata dal tempo, non sconvolge più, sebbene annunci le crisi del nostro tempo. Applausi al direttore Bartoletti e fischi all’orchestra per lo sciopero degli autonomi”. Rammenta poi il clamoroso fiasco del 1933 e chiosa, con una punta polemica verso il quotidiano fiorentino per eccellenza: “Insomma, (fu) una catastrofe, provocata dalle medesime scene che oggi, col senno di poi, passano tranquillamente inosservate. Il pubblico odierno, rapito dagli acuti e dai sovracuti di Merritt e della Serra, rivolge soltanto un occhio distratto ai quadri del principe dei pittori. L'avanguardia di ieri s'è fatta vecchia e non scandalizza neppure i lettori della «Nazione»”.
Altri tempi anche questi, pure se così vicini a noi, quando sui giornali di carta potevamo leggere pagine come questa; altri tempi, e stavolta paiono così lontani, quando si auspicavano nuove regie per non ripescare nel vecchio.
Infatti Tedeschi continua: “Ma è lo stile di una serata dominata dal genio prepotente di Giorgio de Chirico, fedelmente rievocato da Raffaele del Salvio e Giuseppe Crisolini Malatesta per scene e figurini, e dalla pulita regia di Sandro Sequi, spruzzata con discrezione da qualche elemento ‘metafisico'. Se resta un dubbio è sull'utilità di queste ricreazioni grazie a cui i teatri evitano i pericoli del nuovo ripescando quello dei nostri nonni. C'è sempre un fondo di pigrizia in simili operazioni oggi in voga che personalmente mi lasciano perplesso. Prova ne sia la tranquillità della serata, con caldi applausi per tutti e un'unica urlata di protesta per ragioni extrartistiche: contro l'orchestra che, con gli scioperi degli autonomi, ha già fatto saltare una recita e altre ne minaccia in futuro”.
Da quel 1989 l’allestimento è stato esportato in tanti teatri italiani e europei, sempre con successo e ripetiamo l’invito a visitare questa mostra per guardare in faccia questi “eroi stupefatti e transumani” che silenziosi e fieri stupiscono ancora dopo novantun’anni.
I Puritani 1933
Firenze, Teatro Comunale
25, 28, 30 maggio 1933
direttore Tullio Serafin
maestro del coro Andrea Morosini
regia Guido Salvini
scene e costumi Giorgio De Chirico
Carlo Scattola (Gualtiero Valton)
Ezio Pinza (Giorgio)
Giacomo Lauri Volpi (Arturo Talbo)
Mario Basiola (Riccardo Forth)
Adrasto Simonti (Bruno Roberton)
Nadia Kovaceva (Enrichetta di Francia)
Mercedes Capsir (Elvira)
Orchestra Stabile Fiorentina, Coro del 1º Maggio Musicale Fiorentino
allestimento Teatro Comunale Vittorio Emanuele II
I Puritani 1989
Firenze, Teatro Comunale
25, 28, 31 maggio, 2 giugno 1989
direttore Bruno Bartoletti
maestro del coro Roberto Gabbiani
regia Sandro Sequi
scene e costumi Giorgio De Chirico
Leonardo Wolovsky (Lord Gualtiero Valton)
Dimitri Kavrakos (Sir Giorgio)
Chris Merritt (Lord Arturo Talbo)
Paolo Coni (Sir Riccardo Forth)
Aldo Bottion (Sir Bruno Robertson)
Gloria Scalchi (Enrichetta di Francia)
Luciana Serra (Elvira)
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Allestimento Teatro Comunale di Firenze
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La mostra a Villa Argentina - ad ingresso libero - è aperta fino a domenica 5 maggio con i seguenti orari: nel mese di febbraio martedì e venerdì: 9:30-13 e 14:30-17:30, mercoledì e giovedì: 9:30-13, sabato: 9:30-13 e 15-18, domenica 15-18 (lunedì chiuso). Da marzo fino a chiusura della mostra martedì e venerdì: 9:30-13 e 14:30-17:30, mercoledì e giovedì: 9:30-13, sabato: 9:30-13. Domenica 5 maggio 15-18 (lunedì chiuso).
Marilisa Lazzari