Con ancora ben vive in noi le emozioni provate per l'intensa prestazione nel ruolo di Anna Bolena eseguita a Verona e successivamente per la magnifica Lucia di Lammermoor a Genova, avviciniamo Elena Mosuc durante un breve momento di pausa fra i vari impegni estivi.
Come hai fatto a maturare così profondamente un personaggio tanto complesso, sia sotto l’aspetto vocale sia sul versante psicologico, come quello di Anna Bolena?
Ebbi il grande onore di debuttare in questo ruolo fantastico, che in questo momento della mia carriera considero “il mio ruolo”, già nel marzo del 2007 alla Konzerthaus di Vienna. Si trattò di una magnifica esecuzione diretta dal bravo M° Bertrand de Billy in forma di concerto e trasmessa in diretta radiofonica. Mi ero preparata seriamente questa grande pagina donizettiana ed il ruolo me lo ero messo bene “in gola” (come usiamo dire noi cantanti in gergo quando ci sentiamo vocalmente bene una parte). E, anche se qualche giorno prima del concerto mi ammalai di un raffreddore fortissimo, in tre giorni mi rimisi a posto e potei cantare. Fu un impegno per il quale lavorai mesi con Ion Buzea, il mio M° di Zurigo, ed al quale non volevo assolutamente rinunciare. Se ascoltate la registrazione della trasmissione radio reperibile su youtube si sente che, già in quell'occasione, la mia attenzione per ogni suono era alta ed avevo fatto un lavoro minuzioso di studio della parte. Certo, non posso dire che in quel momento il ruolo fosse già mio, ma si intuisce che un giorno lo sarebbe diventato. Fu quello il mio primo passo verso Anna Bolena, un’opera che mi affascinò sin dal primo ascolto.
Fui attratta dal personaggio con le sue mille sfaccettature: una donna ed una regina al tempo stesso. Due aspetti importanti che il genio di Donizetti ha sottolineato perfettamente con la sua musica divina: la donna con la dolcezza, la malinconia e la sensibilità del discorso musicale, la regina con una scrittura nobile, sanguigna e che non le fa mai perdere dignità e regalità. Questi punti sono stati ripensati e sviluppati lo scorso anno in occasione del mio debutto scenico nel ruolo, avvenuto a Lisbona con il grande regista Graham Vick: un vero genio; la produzione era la stessa nata a Verona e poi tornata nuovamente, lo scorso mese di maggio, al Filarmonico.
Se l’anno scorso dovetti capire bene le idee registiche e la psicologia complessa del personaggio, quest’anno, conoscendo molto bene la produzione, mi sono potuta concentrare sulle raffinatezze interpretative.
Per me è sempre cosi: ad ogni recita il ruolo ci guadagna qualcosa sotto l’aspetto interpretativo; mi piace sperimentare cose nuove, seppure piccole, ed amo da morire rendermi la vita più “difficile” sondando nuovi aspetti musicali e scenici. La noia sarebbe la morte. Del resto, penso sia l’unico modo per far crescere veramente un personaggio, farlo maturare e conoscerlo in profondità.
Sino ad oggi ho cantato sette recite di Anna Bolena (includendo la recita concertante) ma sento già questo personaggio parte della mia vita. Essendo una cantante belcantista, so molto bene che devo sfruttare ogni suono e ogni aspetto musicale per rendere tutto più interessante, vivo, vero e maturo. So che devo essere sempre lì, dentro la musica e nella mente di Bolena: devo essere lei, sentirmi come lei, respirare come lei, recitare come se fossi veramente lei (i costumi bellissimi di Paul Brown mi sono stati di grande aiuto) e renderla molto vera e naturale in tutto. Questa è la parola chiave: verità! E gli spettatori apprezzano e riconoscono la sincerità interpretativa. Sia la prima aria di Anna Bolena che la grande scena finale le ho interpretate qualche volta anche in concerto e le amo dal profondo del cuore. La prima aria, più intima nella parte lenta e decisamente estroversa nei fuochi d’artificio della cabaletta, è simile come architettura all’ ultima scena che però differisce per le maggiori fioriture ed anche per la lunghezza. Tra i momenti principali dell'opera “Al dolce guidami” che ti catapulta in un’altra dimensione, un sogno nel quale si ferma tutta l’opera e che adoro cantare in piano, pianissimo cercando i suoni adeguati a rendere un’intimità dolorosa e triste. Mentre la cabaletta finale “Coppia iniqua” diventa una pazzia di colorature e acrobazie vocale ben giustificate. Sì, il delirio di Bolena nella scena finale è un capolavoro che merita molta attenzione e preparazione profonda…altrimenti si cantano solo suoni belli. Ecco perché la Callas, il genio della lirica, ha inserito questo ruolo nel suo repertorio rendendolo molto intenso, drammatico, profondo, ricco di sensibilità e verità. Ed io intendo fare questo con la mia personalità, la mia esperienza, la mia vocalità, ma anche con umiltà e con la mia visione del personaggio.
Dopo l’altrettanto convincente Stuarda cantata a Genova nel 2017 (ruolo già cantato con successo anche a Zurigo e a Berlino) sarebbe auspicabile un tuo debutto nel ruolo di Elisabetta del Roberto Devereux. Anzi mi meraviglio che non sia già avvenuto. Che ne pensi?
Si, il mio sogno è di concludere la trilogia Tudor e credo che ora sarebbe il momento giusto. Tre anni fa dovevo debuttare Elisabetta a Bilbao - un teatro che amo e che mi ama - che aveva messo in cartellone soprattutto per me “Roberto Devereux”; purtroppo alcuni cambiamenti tecnici nella produzione di Lucia a Barcellona, in cui ero impegnata subito dopo, me lo hanno impedito. In compenso a Bilbao nel 2016 ho cantato una splendida Lucrezia Borgia.
Parecchi anni fa, a Zurigo, quando la Signora Gruberova interpretò questo ruolo, io ero la sua copertura; mi fecero anche i costumi (molto belli), ma non ebbi occasione di cantare nemmeno una recita. Meglio per me, perché penso che sarebbe stato troppo presto: questo è un personaggio che richiede molto e se non c’è ancora la maturità artistica necessaria è meglio non farlo. Sono sicura che il giorno del mio debutto come Elisabetta arriverà presto ed allora sarò preparatissima ad affrontarlo.
Possiamo dire che il belcanto sia l’essenza primaria del canto di Elena Mosuc? Infatti, pensando anche alla Leonora del Trovatore, cantata recentemente a Belgrado in virtù di una naturale maturazione vocale, presentava tutte le caratteristiche di estrazione belcantista che dovrebbero avere alcuni ruoli verdiani.
Durante la mia carriera, che compie quest’anno 28 anni, ho cantato un po’ di tutto ma in generale sono rimasta nel repertorio belcantista. È lo stile più difficile ma a me viene molto bene e naturale. Sono sempre stata abituata a fare le cose più complicate a cominciare dal mio debutto assoluto con Regina della notte nel Flauto magico.
A Zurigo, dopo avermi fatto cantare i ruoli più impegnativi, quando ce n’era la necessità, il Signor Pereira mi buttava “nell’acqua fredda” perché tanto sapeva che con me sarebbe andato sul sicuro. In una certa maniera mi sono abituata a cantare quello per cui dovevo essere più o meno perfetta. Così dopo cinque anni a Zurigo pensai molto seriamente di perfezionarmi a livello di tecnica vocale; mi resi conto che per ruoli come Zerbinetta, Lucia, Traviata, Puritani, Luisa Miller ecc. c’era bisogno di qualcosa in più.
Ogni anno ho debuttato in un nuovo teatro nel mondo ed ogni anno ho portato in scena uno o due nuovi ruoli. Ho sempre avuto la consapevolezza che, se non mi fossi perfezionata, sarei pian piano sparita, come succede oggi con tanti giovani cantanti che dopo pochissimi anni non esistono più. Io ho sempre desiderato una carriera lunga, perché amo cantare e so che è il mio modo per esprimermi. Non voglio neanche pensare di dover fare un'altra cosa.
La mia carissima Maestra di Milano, Mildela D’Amico, non mi lasciava emettere un suono a caso e per ogni colore ho dovuto lavorare sodo. Ho detto spesso che la odiavo quando mi faceva ripetere mille volte un vocalizzo e qualche volta mi innervosivo, ma solo con uno studio così serio si possono ottenere risultati duraturi. Un po’ come facevano tutti i cantanti del passato. La mia maestra studiò con la famosa Mercedes Llopart, insegnante anche della grandissima Renata Scotto con la quale ebbi l’onore di lavorare in Lucia a Thessaloniki, dove lei curava la regia. Il belcanto certo, pretende una voce bella, calda, morbida, flessibile, ma se prima di tutto un cantante non riesce a fare tutto quello che si richiede a questo stile, rovina l’opera, e poi rovina sé stesso. La mia insegnante ha sempre insistito sull’uguaglianza timbrica! Cosa molto importante non solo per il belcanto.
È brutto sentire un cantante che canta con tre o quattro voci diverse in registri diversi. La voce deve essere fluida, i cambiamenti di registro devono essere morbidi e con la stessa voce.
In Verdi questi cambiamenti sono spesso brutali; pensate alle cadenze scritte su due ottave, oppure a tutte le formule ritmiche impegnative, alle frasi lunghe con fiati lunghi, staccati, trilli, appoggiature, capacità di affrontare acrobazie e frasi veloci, una bella pronuncia anche delle consonanti sui suoni acuti e tanto altro. Tutte queste cose vengono dallo stile belcantista richiesto dal primo Verdi sino a quello più maturo; solo che Verdi, rispetto ai colleghi che lo precedettero, è più carnale, più sanguigno e spesso molto brutale. Se un cantante non è padrone perfetto della sua voce, meglio che non canti Verdi.
Io faccio belcanto in tutto quello che interpreto perché penso che così risulti più interessante. Leonora nel Trovatore è un ruolo belcantista, certo richiede un po’ più di volume, un centro importante, una maturità vocale e ancora più anima. Nel complesso mi è sembrato un po’ più facile di Anna Bolena, perché non è così acrobatico e si concentra più sulla linea centrale del canto. Ciò che veramente trovo impegnativo per me nel Trovatore è qualche pagina verso il finale, nel terzetto con Manrico e Azucena. Ma già nella seconda recita che ho cantato dopo Belgrado (il mio debutto in Leonora), in Romania, ho notato che anche quel passaggio è migliorato. Avrei bisogno di una serie di recite per metterlo bene a posto. Ma sono felice di aver avuto l’occasione di organizzarmi questo debutto in due recite, in teatri di buon livello artistico, in un ruolo che sognavo da tempo. Con ruoli diversi e impegnativi si sviluppa la voce e si cresce…
Edita Gruberova non ha ancora abbandonato ufficialmente le scene ma da qualche anno le sue apparizioni sono sempre più rare; Mariella Devia ha dato l’addio alle scene pochi giorni fa a Venezia con un’emozionante ultima recita di Norma; ora sei tu la regina del Belcanto. Cosa significa essere considerati depositari di uno stile? È una grande responsabilità?
Durante la carriera, abbiamo tante possibilità di sperimentare e capire quello che va bene per noi e per il nostro strumento. Anche io non faccio eccezione. Ma al di là di qualche esperimento, sono rimasta nel repertorio che dall’inizio ho capito essere il mio. Ma sono stata anche fortunata che a Zurigo ho avuto un sovrintendente che spesso mi buttava “nell’acqua fredda” perché credeva in me, e mi ha offerto i ruoli adatti. Oggi risulterebbe quasi strano un sovrintendente così capace di conoscere bene le voci! (ride). In quel teatro, che ai tempi di Pereira ha conosciuto il vero prestigio raggiungendo un livello di qualità davvero alto, ho avuto la possibilità di lavorare con i più grandi artisti e direttori del mondo, quindi formarmi e crescere in un ambiente molto efficace. Per tanti anni ho alternato le mie recite con Edita Gruberova, ascoltandola e osservandola con grande interesse da dietro il palco per "rubarle" i segreti che lei non ha mai rivelato.
Oggi, dopo 28 anni di carriera, essere considerata come lo erano loro alcuni anni fa, è un grande onore e mi rende molto orgogliosa.
Ho studiato tantissimo e ho voluto veramente essere “l’umile ancella del genio creator”. Certo che la responsabilità ora è ancora più grande in quanto devo dimostrare che quello che dice la critica internazionale non sono parole al vento e devo confermarmi ogni volta di più, ad ogni recita e ad ogni concerto.
Va anche detto che il tempo passa, non siamo immortali, e vogliamo lasciare un bel ricordo di noi; una traccia indelebile, cosi come ci sono riuscite le mie colleghe Edita Gruberova e Mariella Devia verso le quali ho sempre nutrito un’enorme ammirazione. Loro sono due icone del belcanto, dalle quali si può imparare tantissimo, persino oggi che sono al tramonto della carriera. Trovo Mariella Devia un esempio per come ha sempre studiato, per come si è mantenuta in una forma incredibile e secondo me ha ancora tanto da “dire”.
Essere “depositario di uno stile” significa avere accumulato tanta saggezza e segreti di quello stile, un processo che una volta incominciato non finisce mai. Non possiamo mai dire di sapere tutto. Quando pensiamo di sapere qualcosa, incomincia il vero processo di interpretazione, con infinite possibilità che non si esauriscono mai. È un processo lungo che richiede tanto lavoro, dedizione e che non smette di farci scoprire sempre cose nuove. Ecco perché è impossibile essere una vera star a 25 anni! Riguardo al belcanto la grande Callas diceva “chi può cantare il belcanto, può cantare tutto”, ed è vero.
Per il grande repertorio belcantista, dal punto di vista stilistico hai avuto dei riferimenti? Puoi farci qualche nome?
Esistono nella storia del belcanto tanti nomi di riferimento che io adoro e da cui ho rubato molto ascoltandoli: prima di arrivare a Zurigo, quando vivevo ancora in Romania, conoscevo e ammiravo tantissimo le registrazioni di Maria Callas, la vetta più alta della lirica. Chi non conosce La Callas? Anche se non è stata sempre perfetta e la voce ad un certo momento non era bellissima, l’intensità e le emozioni che ha regalato al pubblico rimarranno uniche! Non si può non piangere sentendola cantare! Io ho impressa nella mente una registrazione dei suoi inizi di carriera dell’aria di Abigaille: per mio conto lì è perfetta e si dimostra cantante senza eguali. Poi Joan Sutherland: una cantante cosi perfetta che mi impressiona ogni volta che la ascolto, ma al contempo mi spaventa la sua perfezione. Mi sembra impossibile quello che riusciva a fare. Un tale splendore che quando l’ascolti non vorresti più cantare. Tutt’oggi non riesco a capire come sia stato possibile che uno strumento “vivo” abbia potuto raggiungere un tale livello di precisione. Sono riuscita ad imparare tanto ascoltando la Sutherland e poi prendendo spunto da lei per le variazioni dell’aria di Semiramide che ho cantato con tanto piacere, ma, Dio solo sa quanto ho lavorato! L’ho ascoltata tanto nelle registrazioni e poi ebbi l’onore di conoscerla dal vivo a Zurigo insieme al grande Richard Bonynge.
Il primo grande nome invece con il quale ho avuto contatto da vicino ed apparendomi più umana musicalmente è stata Edita Gruberova, con la quale mi sono alternata tantissime volte a Zurigo in ruoli come Lucia, Elvira, Linda, Zerbinetta. Tuttavia, anche se abbiamo cantato nelle stesse produzioni, non ho avuto un grande rapporto privato con lei: nei suoi confronti nutrivo molto rispetto e la consideravo intoccabile. Ed è vero che non era molto comunicativa con i colleghi. Ma quello che veramente ho imparato da lei è la cultura del pianissimo!
Christoph, mio marito, e mia suocera che vedevano ogni mia recita ed osservandomi dal punto di vista dello spettatore, mi dicevano che avrei dovuto sfruttare di più il pianissimo al quale, all’inizio, non davo la giusta importanza. Certo, sapevo cantare piano, ma solo in un secondo tempo notai che guadagnavo di più l’attenzione del pubblico usandolo, soprattutto nei momenti in cui è quasi inaspettato; ma non come segno di manierismo, bensì dandogli un significato.
Un’altra cantante che ho sempre ammirato tantissimo nel belcanto è Montserrat Caballé che, oltre a conoscere dalla registrazioni, riuscii a vedere nel suo ultimo recital a Zurigo, tanti anni fa. Penso che il mio cammino vocale sia un po’ simile al suo. Il suo legato, le frasi lunghe in pianissimo, la facilità con quale cambia i registri, l’eleganza del suo canto sono affascinanti! La amo tantissimo!
L’ho conosciuta di persona tre anni fa quando cantavo al Liceu di Barcellona Traviata e lei teneva una master class. Mi ricordo che cercavo una stanza per studiare quando aprii una porta e vidi la Caballé. Pensavo d’essere in un sogno! Ho richiuso la porta, andai subito in un internet café a stampare qualche sua foto, comprai un mazzo di fiori immenso e tornai in teatro aspettando che finisse la sua master class. Mamma mia, com’ero emozionata ad incontrare il mio idolo belcantista dal vivo: una leggenda! Abbiamo parlato, fatto delle foto… è stato molto bello. Ed il giorno successivo mi ha permesso di assistere alle sue lezioni e ha fatto fare anche a me i suoi famosi esercizi, sdraiata sul pavimento con i pesi sul diaframma (ride).
Un altro grande nome del belcanto è quello di Beverly Sills! Che forza, che interpretazioni emozionanti e differenziate, che energia! Una forza della natura per poter fare quelle acrobazie vocali con una voce cosi sana, potente e piena di carattere! Tanti dicono che la mia voce è un po’ simile alla sua come suono e simile a quella della Caballé come colore e interpretazione. Mi sarebbe piaciuto tanto sentirla dal vivo. È incredibile come riuscisse a cantare un repertorio così diverso e difficile con una facilità da lasciare senza parole?
Da poco hai cantato Lucia di Lammermoor a Genova, un’opera che nella tua carriera ti ha dato grandi soddisfazioni. Quanto è cambiato negli anni il tuo approccio a questo ruolo?
Prima di tutto cambiamo noi, costantemente, ogni giorno, ogni mese, ogni anno, biologicamente. Sono passati ventisette anni da quando misi in repertorio questo ruolo bellissimo e difficile. Pensate che tante mie colleghe lo cantano qualche anno, poi cambiano repertorio perdendo gli acuti. Quando sono entrata nell'ensemble di Zurigo nel settembre 1991, avevo già in repertorio Regina della notte nel Flauto magico, Gilda (che ho debuttato il 20 marzo 1991) e Lucia (debuttata il 30 giugno 1991) – tutti a Iasi. La Traviata l’ho debuttata a Iasi il 2 marzo 1992 prima di cantarla a Zurigo.
Ho controllato ora la mia agenda e ho visto che canto Lucia da ventisette anni. Pensavo da ventisei, come ho detto recentemente nell’intervista video al Carlo Felice di Genova, ma mi sbagliavo. Con certezza la mia Lucia di oggi non è come quella dei miei esordi. Mi ricordo molto bene che a quei tempi cantavo ogni giorno e non sentivo mai la stanchezza. La giovinezza ha un suo perchè… Quel debutto fu bellissimo, peccato non sia stato registrato in video... solo qualche pezzettino, ma ho il duetto con Edgardo con il famoso FA sovracuto in chiusura di atto (ride). Un suono che anche oggi ho in “tasca”. In generale, tutti i sovracuti li cantavo in voce, ma più in una posizione di testa che mi veniva molto facile. Suoni rotondi, potenti e morbidi. Con l’età e con tutto il repertorio che ho fatto fino adesso, i sovracuti di oggi sono nella giusta posizione, ma ancora con più potenza. Mi piacciono cosi, ma in certi momenti quella posizione di testa morbida mi manca.
Ai tempi del mio debutto in Lucia cantavo molto bene perché ero preparata da undici anni di studio privato molto serio, ma mi mancava l’esperienza del palcoscenico.
Ho sempre voluto avere una recitazione vera, credibile, e per questo ho interpretato sul palco un personaggio che si muove con naturalezza, senza artifici. Certo, con qualche regola del palco che i maestri di Iasi mi insegnarono.
Adesso sono una “leonessa” del palco che ha scoperto in tutti questi anni tanti segreti del ruolo, sia musicali, sia scenici. Non pretendo di essere perfetta, ma almeno nelle intenzioni vado in quella direzione.
La mia prima Lucia di Iasi con la sua messa in scena tradizionale era molto diversa dalla seconda che cantai a Zurigo con la regia di Robert Carsen, moderna, grigia, semplice, efficace, con relazioni suggestive fra i personaggi; una regia che mi aiutò a capire meglio il ruolo. Musicalmente ho avuto tanti grandi direttori che mi hanno dato indicazioni utili a trovare la giusta interpretazione. Ed io sono stata sempre aperta ai consigli di tutti! Non come oggi e qualche collega della nuova generazione... ho qualche esperienza in tal senso che è meglio non raccontare.
Ho cantato Lucia in tutto il mondo, in produzioni molto diverse e ognuna mi ha dato qualcosa di nuovo che ho preso e ho conservato. L’idea del personaggio cresce con ogni produzione, con nuovi ensemble, con nuove idee dei registi, nuovi colleghi, maestri ecc. Per esempio, molto interessante e viva nella mente rimane la Lucia “non pazza” della produzione di Guy Joosten a Brüssel del 2009: in quel caso Lucia era una giovane donna ribelle, vestita di nero in stile gotico, in “guerra” con suo fratello, che poi finiva con il suo suicidarsi quando si rendeva conto di essere destinata a perdere. Una fantastica messa in scena, in cui fingeva di essere pazza. Molto interessante.
Un'altra bellissima produzione vecchia di quarant'anni, la feci a Dallas con un pubblico indimenticabile. In Germania (mi pare a Düsseldorf) ebbi l’occasione di salvare alcune recite che non mi piacquero e di cui non ricordo bene tutto. Anche perché arrivai alla prima recita 40 minuti prima che cominciasse (l’aereo ebbe un tale ritardo che quasi non mi veniva un infarto). Alla fine andò tutto bene. Memorizzai al volo tutto quello che mi dissero della regia, ma poi mi concentrai soprattutto sulla parte musicale. Ecco, in una situazione del genere, la mia esperienza mi aiutò tantissimo ad adattarmi immediatamente al nuovo ambiente di una Lucia molto strana.
Un ricordo, per me indelebile, legato a Lucia è quello della produzione allestita a Thessaloniki nel 2002 con la regia di Renata Scotto, una grande cantante che conosce profondamente questo ruolo donizettiano. Lo spettacolo era tradizionale e al contempo moderno, dalla raffinata estetica, con vestiti e scenografia stilizzati. Fu per me un'esperienza molto interessante lavorare con un'artista che fu una grande interprete di Lucia... e non solo.
Per me rimane altrettanto indimenticabile anche la recita di Lucia cantata a Zurigo accanto al mitico Alfredo Kraus, una leggenda dell'opera lirica.
Bellissima invece la Lucia della Scala del 2015 portata dalla Metropolitan Opera House. Un po’ spostata dal periodo originale, con costumi bellissimi, scene incredibili... musicalmente con un maestro fantastico, Stefano Ranzani (ho lavorato di nuovo con lui con grande gioia quest’anno per “La Bohème” a Napoli; da lui si impara sempre tantissimo). Ho avuto grande soddisfazione da quella Lucia scaligera, profonda, moderna nel concetto del personaggio ed intensa.
Quali sono le differenze peculiari tra un ruolo come Bolena e Lucia di Lammermoor?
Qui parliamo di due mondi diversi. Certo hanno in comune il mondo del belcanto, ma il resto…Parliamo di una ragazza giovane, innamorata che non riesce a sopportare una vita emotivamente parlando da inferno a causa dell’obbligo di sposare un altro, e di una donna con esperienza nel campo amoroso e allo stesso tempo una regina con, anche lei, ma per altre ragioni, una vita di incubo. Tutte e due finiscono nella pazzia, ma due pazzie diverse. Se il ruolo di Lucia, a mio parere, può essere interpretato anche da giovani cantanti, ma capaci di risolvere in tutto la scrittura musicale, per Anna Bolena parliamo di un ruolo di maturità vocale par eccellenza! Anna Bolena deve essere un punto culminante nella carriera di una cantante in grado di usare tutta l’esperienza e tutto quello che sa del belcanto! Parliamo da tutti i punti di vista. Se vuoi farla bene dall’inizio alla fine Bolena è molto impegnativa. Incomincia con un’aria ed una cabaletta difficilissime e finisce con una lunga scena che non va solo cantata ma anche interpretata intensamente. Di solito, le cantanti che si rispettano, mostrano dall’inizio le proprie possibilità vocali in un’aria che richiede tutto; così il pubblico è già conquistato e sa che la serata andrà bene. Certo, fino alla scena finale c’è tanto da cantare e anche di grande difficoltà. Si deve pensare molto bene al dosaggio vocale e delle energie fisiche! La scena finale che non finisce mai, richiede molta fantasia all’interprete, tutti cambiamenti di umore fra i momenti molto intimi, personali con quelli estroversi, dove il delirio si deve capire, e si deve interpretare come se fosse “vero”. Ebbene questa scena deve essere un monumento di interpretazione. “Al dolce guidami” per me è il vertice emozionale di questa opera. Deve essere un sogno, un momento di intimità nel quale Anna è presente davanti a noi, ma in verità è in un altro mondo. Anche Lucia ha nella pazzia (che è l’esempio perfetto della pazzia in musica) momenti simili ad Anna. Ma i momenti di lucidità sono minori rispetto ad Anna. “Coppia iniqua” deve essere il contrario di “Al dolce guidami”, molto più concreta, deve essere pazzesca, una furia, ma piena di dignità, una regina fino alla fine! Obbligatorie sono le variazioni nella ripresa ed i sovracuti, specialmente il Mib finale; come in Lucia del resto. Ma per Bolena parliamo di un Mib drammatico che mostra la Regina, diverso dal Mib di Lucia che è una ragazzina. Anche Bolena si immagina ragazzina nell’aria “Come innocente, giovane” e qui si può usare un colore di voce giovanile, e quando dico questo penso ad una posizione alta di voce, un canto perfetto sul fiato (che la rende più facile). E anche la cabaletta “Non v’ha sguardo” non si deve pensare troppo drammatica. Deve esserci una grande differenza interpretativa fra la prima aria e la scena finale dove in “Coppia iniqua” bisogna essere delle tigri! Come architettura, la costruzione della parte musicale è pensata da Donizetti in un modo abbastanza simile per i due ruoli. La differenza è che Anna Bolena deve cantare di più ed è un peccato che tante volte ci siamo troppi tagli, dovuti alla lunghezza dell’opera. Per concludere: chi può cantare Anna Bolena può cantare facilmente anche Lucia, ma il contrario non funziona sempre; dipende del materiale vocale della cantante.
Come ti sei trovata nella produzione di Lucia andata in scena al Teatro Carlo Felice di Genova il mese scorso? Si è instaurato il giusto affiatamento con il “tuo” Edgardo?
Ho amato la Lucia di Genova. Il Carlo Felice è un teatro meraviglioso con una acustica da sogno e con la regia di Lorenzo Mariani ho lavorato in un modo stupendo. Raramente nella mia vita aspettavo le prove con piacere, come per questa produzione. È il tipo di regista che ama il suo mestiere e fa quello che deve con molta passione. La produzione, abbastanza moderna, sposta l’azione fra le due guerre mondiali, con una Lucia emancipata che fuma e ignora tante volte suo fratello; lotta per il suo amore che è l’unico rifugio in questa vita da incubo e che, certo, non riesce a sopravvivere in un mondo perverso, falso, crudo e duro e con interessi di qualsiasi sorta. Una produzione che mi ha dato modo di scoprire nuovi aspetti con i quali caratterizzare ulteriormente il personaggio. Come sempre, anche qui ho dovuto reinventarmi nel ruolo, ma queste sfide mi piacciono sempre. Sono arrivata piuttosto all’inizio delle prove e ho lavorato molto in dettaglio su tutta la regia, nella quale ho portato molte cose personali e sono felice che il M° Mariani abbia preso in considerazione le mie proposte. Ho voluto nelle mie recite fare cose nuove e diverse da quello che ho già proposto prima durante le prove e ci sono riuscita.
Il “mio” Edgardo ha debuttato per la seconda volta un’opera con me. Prima Luisa Miller a Napoli, tre anni fa, e adesso Lucia. Si trattava di Luciano Ganci, un tenore molto bravo, con un materiale vocale stupendo e con grande capacità nella recitazione; ci siamo intesi benissimo. Non è facile oggi trovare un tenore con una bella voce, rotonda, potente, sicura in acuto e in tutti i registri. Luciano mi è piaciuto molto.
Sappiamo che hai appena inciso un nuovo cd totalmente dedicato alle eroine verdiane. Ruoli che, immaginiamo, non hai mai pensato di cantare in teatro… ma magari ci sbagliamo. Qual è il messaggio, se ce n’è uno, che hai voluto inviare ai tuoi ammiratori e al mondo della lirica con l’incisione di questo cd?
Sono nel pieno della maturità vocale: è soprattutto questo il mio messaggio!
Verdi è il compositore più difficile da cantare, devi essere veramente molto “collaudata” per risolvere vocalmente tutto quello che richiede nei suoi spartiti. Realizzare questo CD è stata veramente una grande sfida per me. Prima di tutto per il repertorio che ho scelto, poi perché ho incominciato a registrarlo subito dopo la mia Lucia alla Scala e non è stato molto facile; avrei avuto bisogno di un po' più tempo di tempo per spostarmi nel mondo verdiano. Ma credo di aver risolto bene. Le arie sono molto complesse ma le difficoltà sono per me un incentivo a lavorare al meglio. Non so se un giorno canterò Attila o Aroldo, dipende dallo sviluppo vocale, ma credo che un giorno affronterò Elisabetta del Don Carlo (come fece anche la Caballé) oppure una Lucrezia ne I due Foscari. Mi piacerebbe molto, ma solamente se la voce si adatterà bene in questi ruoli. Mi è sembrato interessante con questo cd, presentare la direzione attuale della mia vocalità con ruoli per me desueti, inserendo comunque anche arie che ho interpretato moltissimo sul palcoscenico come quelle di Violetta, ruolo che amo tantissimo. Anche il Requiem l’ho cantato un paio di volte, ma mi piacerebbe avere più occasioni per farlo crescere dentro di me.
Con Verdi nessun cantante può scherzare, perché questo genio ci propone un tipo di musica completa dove, più che nel belcanto, che certamente esiste nella sua musica, c’è il sangue. Tante volte diventa veramente brutale e se non sai difenderti con una tecnica vocale solida puoi distruggerti. Pensate alle frasi lunghe in crescendo, tante volte sincopate, con formule ritmiche diverse, con terzine, con appoggiature, con cambiamenti di registro in poco tempo, colorature drammatiche, con cadenze su due ottave da affrontare in modo eroico (Odabella, Mina), due ottave e mezzo (Elena) oppure in piano (penso in questo momento a Medora che recentemente ho cantato nel mio recital a Zurigo). Queste alternanze di musica celestiale (Elisabetta, Requiem) e drammatica (Requiem, solo per citarne uno) rendono difficile la vita di un cantante, ma danno anche una soddisfazione inimmaginabile. Tutto richiede un’uguaglianza timbrica di ferro, sulla quale la mia maestra Mildela D’Amico insiste sempre! Sempre per rimanere al cd ho voluto presentare caratteri vocalmente diversi: personaggi tristi, innamorati, malinconici, angelici (Elisabetta, Leonora, Mina, Violetta), altri dai caratteri eroici e coraggiosi (Odabella, Lucrezia, Mina), vincitori e giovanili (Elena) ma anche furbi e sadici (Lady Macbeth). Ognuno è diverso. E così ho svelato un volto artistico di Elena Mosuc diverso dal consueto e che non si vede spesso sul palcoscenico. Non mi è mai piaciuto essere catalogata e ho pensato che fosse giunto il momento giusto per far capire questa cosa. Mi piacerebbe fare un secondo CD di Verdi Heroines perchè avrei altro da dire...
Noi ci auguriamo vivamente che i teatri ti diano l’opportunità di cantare i ruoli che sino ad oggi ti hanno resa celebre, magari aggiungendone qualcuno ma senza costringerti a cambiare repertorio. Tu cosa ne pensi?
Ma io non voglio cambiare il repertorio! Voglio ampliarlo con ruoli più adatti adesso per la mia voce e per la mia età. Potrei cantare ancora Gilda, ma che senso ha quando ci sono tante giovani che possono fare bene questo ruolo e quando io potrei occuparmi di ruoli nuovi? Certo che alla Traviata non intendo rinunciare, neanche alla Elvira dei Puritani, anche se vorrei molto fare quella di Ernani. Al momento ho rinunciato alla Regina della notte, Gilda e Zerbinetta. Questo non significa che avrei problemi a cantare questi ruoli, no! Ma non ha senso quando canto già da tempo Norma, Maria Stuarda, Anna Bolena, Luisa Miller ecc cantare ancora Gilda. Quest’anno ho fatto un po’ di tutto perché me lo posso permettere: Norma, debutto di Leonora nel Trovatore, Anna Bolena e Lucia.
Adesso mi trovo al Festival di Torre del Lago dove sarò Mimi nella Bohème in una produzione stupenda firmata da Alfonso Signorini, regista con cui lavoro per la prima volta e con il quale è nato un ‘‘amore artistico a prima vista‘‘. Mimi è autentica poesia, un ruolo che mi stimola dal punto di vista interpretativo e che ha a disposizione delle frasi pucciniane da sogno.
Lo scorso 21 giugno ho tenuto un impegnativo Liederabend alla Opernhaus di Zurigo, nell'ambito del quale ho cantato una prima parte di magnifiche arie da camera di Enescu, Chausson, Debussy, Fauré oltre ad una serie di lieder rumeni, mentre la seconda parte l'ho dedicata tutta a Verdi con arie da Otello, I due Foscari, Il Trovatore, Il Corsaro e Macbeth; è stato un bellissimo concerto.
Invece poche settimane fa ho chiuso un importante Festival in Romania ‚‘‘Vacanze musicali‘‘ a Piatra Neamt, con un concerto ideato da me ed intitolato “Resonance”. Si è trattato di un concerto un po' diverso dal solito, in cui mi sono divertita a cantare pezzi di generi musicali diversi fra cui lieder, fado, un pezzo di vocalizzo su musica in stile film-opera ed anche alcuni pezzi pop in stile classico; tutto orchestrato appositamente per me. È stato grandissimo successo. Tra l'altro sono felice che, nell'ambito di questo concerto, anche mio marito Christoph abbia avuto l'opportunità di debuttare come direttore di orchestra dirigendo quattro arie.
In seguito sono stata in Macedonia dove mi sono esibita nel concerto che ha inaugurato il Summer Festival di Ohrid.
In autunno farò l’inaugurazione della stagione a Trieste con I Puritani che adoro. Poi di nuovo Anna Bolena in Germania e La Rondine (concertante di nuovo in Spagna)… ma non mi dispiacerà poter avere l’opportunità di debuttare una Elisabetta nel Roberto Devereux oppure Amalia ne I Masnadieri. Oppure qualche altro ruolo verdiano… Anche per la musica francese sarei molto aperta, per esempio, di Meyerbeer mi piacerebbe tanto cantare Robert le Diable.
Fra i ruoli che ancora non hai cantato, quali sono quelli che ti piacerebbe assolutamente poter portare in scena e perché?
Come abbiamo già detto, per concludere la Trilogia Tudor, amerei tanto fare Elisabetta nel Roberto Devereux; tra l'altro so che mi viene molto bene e ho già registrato la scena finale nel CD “Donizetti Heroines”. Mi piacerebbe cantare Imogene nel Pirata perché mi stimolerebbe e mi chiederebbe di più nel campo belcantista. Sarebbe bello poter cantare Amelia nel Simone Boccanegra per aiutarmi ancora di più a sviluppare il registro centrale, La straniera oppure Beatrice di Tenda di Bellini sarebbero interessanti. Vorrei cantare di più Requiem di Verdi e ho una proposta per Giselda (ruolo completo) ne I Lombardi, una nuova produzione, eventualmente l’anno prossimo, in Romania (se si mette a posto il problema finanziario per la produzione). Vorrei interpretare Adriana Lecouvreur per la bellezza della musica e del personaggio!
Invece fra i ruoli già affrontati ce n’è qualcuno che, in particolar modo, ti piacerebbe riprendere?
Si! Vorrei tantissimo riprendere Medora ne Il Corsaro ! Ruolo breve, ma bellissimo e anche con un’aria difficile. L’ho cantato in una sola produzione a Zurigo nel 2009 e poi in una recita in versione di concerto in Germania. Vorrei cantare di più Luisa Miller, e certamente la trilogia Tudor. Vorrei essere scenicamente Desdemona nell'Otello di Verdi (debuttato concertante l’anno scorso a Tokyo) e La Rondine di Puccini (cantata e registrata solo in forma di concerto).
Hai dedicato tutta te stessa e tutta la tua vita (forse sacrificando anche la maternità) per la musica e il canto: ne è valsa la pena? Hai qualche rimpianto?
Nessun rimpianto! Sono nata per cantare: questo lo so. Mi sono dedicata alla musica ed al pubblico! Sono felice con il mio Christoph, e abbiamo dei nipoti fantastici. Ho fatto e faccio una grande carriera solo grazie al mio talento, senza essere mai stata spinta da nessuno, senza nessuno sponsor... Ma lo dico con la mano sul cuore, sono felicissima e orgogliosa di tutte le mie realizzazioni. Gli unici aiuti che ho avuto sono venuti da Dio e da me stessa con il mio duro lavoro!
Ora ti facciamo una domanda alla quale non sappiamo se puoi e ti conviene rispondere… nel qual caso comprenderemo anche un laconico no-comment: nel mondo teatrale di oggi i reali valori e la meritocrazia degli artisti sono ancora la cosa fondamentale per poter fare una carriera? Al pubblico che paga il biglietto e va a teatro vengono proposti veramente i migliori artisti disponibili sul mercato?
Il mondo della lirica è cambiato moltissimo. Si “ascolta” di più con gli occhi e non si vuole più pagare la qualità. Tutto è diventato molto superficiale e commerciale e questo succede non solo nella lirica. Ho già detto che quando iniziai la carriera, gli Dei erano i cantanti già meritatamente affermati e dai quali ci si poteva aspettare la qualità ed era possibile imparare qualcosa. Loro erano al primo posto e, noi giovincelli, dovevamo essere i secondi e saper aspettare con pazienza; cosa giustissima per ogni mente normale. Oggi, noi, quelli in carriera da anni, dobbiamo spesso accettare di essere i secondi in favore di quelli che hanno appena iniziato a cantare… e questo dice tutto. Con ciò non voglio dire che non esistano cantanti giovani tanto bravi da meritarsi l'attenzione.
Vuoi dire qualcosa ai tuoi ammiratori che ci leggono?
So che esistono ancora dei veri appassionati che conoscono il reale significato dell’opera e l'autenticità del canto! Ho tantissimi fan (che ringrazio di cuore), molti dei quali sono diventati amici e con i quali ho un rapporto molto stretto; alcuni mi seguono ovunque vada a cantare e seguono in generale i bravi cantanti, a prescindere dall’età. Accetto anche da loro e da mio marito, non solamente dai registi e dai direttori d'orchestra, i buoni consigli per crescere artisticamente! L’importante è essere validi e avere qualcosa da dire: il pubblico vuole la verità, non solo il glamour che acceca.
Grazie per la disponibilità e un grande in bocca al lupo per il prosieguo della tua carriera
Grazie a voi e a tutti quelli che mi amano e mi danno il coraggio di andare avanti con la mia arte, nella quale metto tutto il mio amore e la mia anima.
“Io son l’umile ancella del genio creator“
Danilo Boaretto