Il personaggio
La morte, la carne e il diavolo, alias la triplice alleanza del Romanticismo, sono la sostanza dell’Olandese. La morte è il suo desiderio. Invano la cerca ed essa gli sfugge. I mari inghiottono le altre navi, ma la sua si salva e nessuna tempesta la distrugge. L’annientamento, invocato invano, non lo prende.
E’ la maledizione del diavolo per il suo peccato di superbia. "Non smetterò in eterno": è il grido e la bestemmia dell’Olandese. Deve vagare per non avere accettato il limite della umana natura. Eppure la salvezza arriverà dalla carne: una donna e il suo amore che in questo caso, però, non ha nulla di impuro. Solo quella che vorrà legarsi a lui, lo redimerà.
Ogni sette anni ritenta la prova. Di più l’angelo del signore non è riuscito a spuntare. Le condizioni della sua salvezza sono queste.
Gigantesco come il mare che sfida, l’Olandese porta nel cuore la tempesta che dentro lo assale. Essa si alterna alla bonaccia del suo spleen, che è ancora più disperante dei marosi. Ma Senta, che sa a memoria la sua leggenda e ne ha in casa il ritratto, lo aspetta. L’ Olandese intuisce che ella potrebbe salvarlo, quando l’avido Daland concepisce il progetto di maritarlo alla figlia, che egli ancora non conosce. Il loro incontro è un ritrovamento: un patto eterno. All’Olandese è negata la pace di una vita borghese, ma non la redenzione. Senta lo intuisce. respinge Erik, si butta nel mare, per raggiungere l’Olandese, che si crede tradito. Il vascello fantasma si inabissa. Le due anime abbracciate si liberano della prigione del corpo e si riuniscono al respiro dell’essere.
Il dramma è questo. Questo è il personaggio che Wagner dipinge in due momenti: il Monologo del I Atto e il Duetto con Senta nel II. Il resto, l’incontro con Daland, la repentina partenza, non sono che azione.
La voce, il ruolo e la vocalità
Nella partitura edita da Felix Weingartner nel 1896 (con le correzioni di Wagner del 1880) l’Olandese è affidato ad un baritono. Ma è un baritono che abbraccia tessiture estese, al punto che sarebbe legittimo parlare di bass-bariton. Alterna la gravità del basso allo slancio del baritono vero e proprio. L’Olandese è il primo di una galleria di bass-bariton che comprende figure quali Hans Sachs e Wotan. Alla prima di Dresda, il 2 gennaio 1843, lo interpreta Johann Michael Wätcher, cantante di chiara fama, avvezzo ai personaggi tenebrosi dell’opera tedesca, come Lysiart dell’Euryanthe di Weber, il Templare di Der Templer und die Jüdin di Marschner. Wagner, che già lo ha utilizzato per l’Orsini del Rienzi, lo impegna in un duro cimento, fin dall’entrata in scena con l’Aria (così è denominata in partitura), "Die Frist ist um", alias quello che viene chiamato il Monologo dell’Olandese e che sintetizza la vocalità del personaggio.
La voce spazia dal sol grave (nel Duetto con Daland scende al fa grave) fino al fa acuto. Il canto si impronta ora al declamato ora ad una cantabilità tempestosa, che esalta il tormento dell’Olandese. E’ il caso della grande frase "Wie oft in Meeres tiefsten Schlund". Essa richiede potenza per reggere la densità e la forza dello strumentale. Tra la vocalità dell’Olandese e l’orchestra si stabilisce uno stretto rapporto. Il loro scontro è metafora della sfida prometeica del personaggio. La ricerca dei colori diventa l’esatta individuazione dello stato d’animo. All’inizio del Monologo la voce, che fraseggia nella regione centro–grave, deve sposarsi alla tinta arcana e sinistra dei violoncelli. Più oltre dovrà cercare tinte sepolcrali evocate dalla timbrica degli strumenti. Il fa acuto della parola Tod deve avere la forza del grido per corrispondere al senso del vocabolo e partecipare a pieno titolo al fortissimo dell’orchestra. Nel Maestoso, "Dich frage ich", la voce deve cantare in pianissimo, ispirata come la progressione accordale che l’accompagna. E’ una parentesi, prima che con parossistico furore l’Olandese esprima il suo esacerbato dolore. Esso si placa nello stupore contemplativo del Duetto del II Atto o, almeno, si agita, come un maremoto in profondità, mentre la superficie sembra godere di un momento di sublime incanto
L’interprete: Hans Hotter
Nel silenzio della notte, l’Olandese discende a terra. Si avanza sugli scogli. Alle spalle c’è il suo vascello con le vele rosso sangue. E’ alto, imponente. Asciutto. Il suo passo è misurato. La sua andatura incute un rispetto al quale si mescola un brivido. Nero l’abito, nero il mantello. Nero il cappello a larghe tese, che lo fa simile ad un Wanderer della morte. Ne udiamo la voce prima di vederne il volto. E’ una voce scura, ma non cavernosa. E’ una voce intensa e possente, ricca negli armonici che pure in questo caso non si compongono in canto fluente, ma si caricano di un che di cinereo, come se sui suoni si fosse posato un velo di grigio volutamente cercato, mentre accenti spigolosi segnano il canto e gli conferiscono una virilità dolente. Man mano che si sposta verso il proscenio ne vediamo il volto ossuto: è uno sguardo fiero, come si addice ad un uomo di rango. Eppure sembra smarrito. La barba gli incornicia il volto, i baffi evidenziano la sagomatura delle labbra. Non è un diavolo, è un dannato e come tale ha negli occhi la paura di chi non regge più allo spossamento della pena. E’ Hans Hotter così come lo videro e acclamarono i pubblici dell’Europa e dell’America: incarnazione perfetta e completa dell’Olandese nell’aspetto, nel gesto, nella postura, nella voce e nel canto.
Aspetto, gesto e postura ci ritornano attraverso le belle foto che lo ritraggono e le recensioni che lo raccontano, così cariche della viva impressione che le sue apparizioni destano. La voce ci torna nei dischi, a cominciare dai 78 giri incisi negli anni ’30, fino alle testimonianze live: quella celebre del 1944 con i Complessi bavaresi, la direzione di Clemens Krauss e l’immancabile Senta della Ursuleac, quella del Met del 30 dicembre 1950 con la direzione di Fritz Reiner e la Senta di Astrid Varnay, quella del 4 aprile 1951 da Amburgo, diretta da Wilhelm Schüchter.
Hans Hotter, classe 1909, esordisce prestissimo, ma si impone all’attenzione internazionale nel periodo compreso tra la fine della guerra e gli anni Sessanta, dove si segnala come uno dei più rilevanti baritoni drammatici wagneriani. E’ una voce personalissima che aderisce perfettamente alla tipologia del bass–bariton. Non a caso fu un Wotan favoloso. Solida nel centro, può scendere senza difficoltà anche a note decisamente gravi che sono proprie del basso. I mi acuti non la spaventano e neppure i fa che sono sempre emessi con forza gagliarda, propria del baritono. Non è un caso che il suo primo disco, realizzato nel 1935, sia il Brindisi di Escamillo. Il passaggio attorno al do è sempre sciolto, mentre la regione centrale, che ha risonanze a metà tra il basso ed il baritono, è intensa ed espressiva. D’altronde il confronto con le voci memorabili dei suoi Daland, autentici bassi, mette in evidenza la natura specifica dello strumento di Hotter.
Ma la voce non è il canto. La differenza la fa proprio l’arte con cui Hotter usa un materiale così rilevante. Intanto il timbro, affascinante in natura, è piegato al personaggio e adattato al suo carattere con soluzioni che lo fanno ben diverso da quelle che Hotter adotta quando veste i panni di Wotan o di Gurnemanz. Un rapido giro di ascolti incrociati rivelerà subito come il baritono austro–tedesco cerchi nel suo timbro le risonanze specifiche per ogni personaggio, dando all’Olandese screziature che altrove non si sentono. Poi ci sono i colori: scuri, dove occorre, squillanti all’occasione, da eroe che si scaglia con l’indomabile volontà di un Prometeo. Nel Monologo e poi nel Duetto con Daland gli permettono di dipingere una tela affascinante. Se quello che abbiamo ascoltato nel I Atto ci sorprende, il Duetto con Senta, specie la prima parte, è memorabile e da solo ci da la grandezza di Hotter. Non basta: questo passo deve essere considerato un esempio stupefacente di drammaturgia musicale, vale a dire di realizzazione del personaggio mediante il canto. Ascoltiamolo. L’Olandese e Senta rimangono soli e immobili, esitando inquietamente per lungo tempo. L’Orchestra tace. Poi L’Olandese attacca "Wie aus der Ferne" e Hotter, il gigante dalla voce possente che nell’Allegro molto agitato del Monologo aveva dato pieno sfogo allo tsunami della sua coscienza, trova un timbro ed un colore che realizzano appieno l’indicazione di Wagner, mezza voce e con portamento. La mezza voce è proporzionata allo strumento e all’uomo. Hotter non ricerca suoni falsettanti o in falsettone, ma è come se mettesse la sordina al suo strumento ottenendo una velatura di mestissimo stupore. Non dimentichiamoci che prima dell’attacco, Wagner ha scritto nella didascalia che l’Olandese è molto commosso. Hotter trova i timbri e colori per esprimere questo stato d’animo e li appoggia su di un canto legatissimo. Ma il legato perfetto, palese dimostrazione della capacità tecnica di Hotter, insigne musicista, si ferma là dove l’insistita ricerca della rotondità darebbe al canto stesso una tornitura che non solo non si addice alla frase (questo non è Bellini), ma neppure alla vocalità di Der fliegende Holländer. Dentro questo contesto sonoro Hotter sviluppa la melodia con impressionante omogeneità, così che l’apice del primo climax, il do di Blicke, è raggiunto senza scosse e, più oltre, l’altro do, questa volta fortissimo di Unseliger non provoca alcuno squilibrio. E’ la meraviglia della speranza di avere trovato il suo angelo: Hotter la realizza nel canto, che si trasforma in un fatto drammatico. E’ un momento di pura sospensione, fra gli acerbi furori del Monologo, dove però qualcosa del genere si era già sentito, quando l’Olandese ricorda l’intervento dell’angelo, tra il beffardo sarcasmo del Duetto con Daland e la furia per il presunto tradimento. E’ il coronamento di una lettura completa e complessa che mostra che cosa sia una voce wagneriana e quale debba essere il suo intendimento: perseguire un canto nuovo, dove la tecnica dell’antica scuola non ripudia i suoi dettami, ma li piega ad un’espressività mai tentata.
Giancarlo Landini
scarica il libretto in formato pdf completo di traduzione italiana a cura del sito www.dicoseunpo.it
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Hans Hotter: "Die Frist ist um" (Der fliegende Holländer) - Direttore Clemens Krauss - München 1944
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Hans Hotter e Birgit Nilsson "Wie aus der Ferne" (Der fliegende Holländer) - Direttore Leopold Ludwig, Londra 19.11.1957