Il rapporto fra Enrico Caruso e la sua città natale è stato controverso, con la punta massima di incomprensione nel presunto "fiasco" dell’Elisir d’amore a fine 1901 al San Carlo, episodio che è stato poi ridimensionato ad una insofferenza del tenore verso alcune puntualizzazioni della critica, e che comunque lo spinse, com’è noto, a non esibirsi più nel Massimo cittadino.
Tuttavia anche quando il cantante non c’era più Napoli non è riuscita a ricordarlo degnamente, anche se adesso qualcosa sta cambiando. Infatti dopo decenni di discussioni, lo stesso 2 agosto in cui si è svolto l'evento che andiamo a descrivere, è stato aperto un museo a lui dedicato, mentre finora l'unico esistente in Italia si trovava a Lastra a Signa in Toscana, nella villa dove il tenore visse fino agli ultimi anni di vita. La sede napoletana invece è nella sua casa natale nel quartiere Capoodichino, ed è sorta grazie a Raffaele Reale, attuale proprietario dell'immobile.
Comunque sia fu a Napoli che Enrico Caruso trascorse i suoi ultimi giorni quando vi tornò ormai gravemente ammalato, concludendo la sua esistenza nell’Hotel Vesuvio di fronte al Castel dell’ovo, dove ancora oggi la camera che occupava, denominata “Suite Caruso” è rimasta immutata così come fu lasciata.
La salma venne esposta nell’allora Giardino d’inverno, che adesso ristrutturato e col nome di “Sala Scarlatti” è un luogo per convegni dove lo scorso 2 agosto, a cento anni esatti dalla sua scomparsa, l'artista è stato ricordato dal suo massimo collezionista, cultore, esperto: il milanese Luciano Pituello che ha dedicato la vita al “divino” tenore (come lo definì Puccini) e da Ugo Piovano, autore insieme a lui di una biografia di Caruso che verrà pubblicata nei prossimi mesi.
Nonostante i suoi 86 anni e con l’energia da fare invidia a un giovanotto, Luciano Pituello è un oratore accattivante e quando serve anche polemista (veemente contro l’assessore alla cultura del comune di Napoli che pur invitato non si è presentato all’appuntamento e non ha nemmeno mandato un messaggio di saluto, così come ha fatto –aggiungiamo noi- il sacerdote della Chiesa di Santa Lucia, che avrebbe dovuto recitare una preghiera in memoria), ma anche generoso nel condividere i suoi tesori, dalle donazioni fatte al museo di Lastra a Signa alla sua casa-museo milanese aperta agli appassionati e studiosi.
Cuore dell’evento è stato l’ascolto di numerose (ben quattordici) incisioni d’epoca di Enrico Caruso su dischi originali suonati su grammofoni del tempo provenienti dal Museo Enrico Caruso del Centro Studi Carusiani, associazione fondata nel 1977 dallo stesso Luciano Pituello con sede a Milano. Un excursus sull’arte canora del Nostro, e anche una curiosità per chi si interessi alla riproduzione musicale.
Si è partiti con il suono incerto di "Una furtiva lagrima" registrata nel 1902 al Grand Hotel Spatz-Milan di Milano per arrivare al 1920 di una canzone napoletana, "I’ m’arricordo ‘e Napule".
In mezzo l’ancora irresistibile "Vucchella" con parole di Gabriele d’Annunzio e poi non solo "La donna è mobile", "Recondita armonia" o "Vesti la giubba" ma anche, a testimonianza delle opere allora in repertorio e oggi più rare, anche La Favorita, L’Africana, Marta e soprattutto, momento di ascolto più intenso, "Rachel quand du Seigneur" dalla Juive di Halévy incisa nel settembre 1920 ed emozionante perchè solo tre mesi dopo quella registrazione la carriera di Caruso si sarebbe chiusa per sempre dopo avere interpretato quella stessa opera al Metropolitan.
A metà del percorso di ascolti i due padroni di casa hanno premiato varie personalità, legate in qualche modo alla figura dell'artista, consegnando loro medaglie e quello che lui ha definito il Buddha Caruso, una piccola scultura riproduzione di un’autocaricatura fatta dal tenore sfruttando le sue doti di disegnatore. Fra gli altri c'erano Raffaele Reale, di cui abbiamo detto prima come attuale proprietario della casa in cui il tenore nacque, Salvatore Monetti, titolare di una famosa ditta di abbigliamento napoletano, il cui padre Eddy finanziò un libro su Caruso negli anni ’70 e Stefano Calistri, presidente del Museo Caruso di Lastra a Signa.
Particolarmente atteso il conferimento dell'onorificenza al tenore Francesco Meli, che già ricevette un Premio Caruso a inizio carriera proprio dalle mani di Luciano Pituello, e a cui stavolta è toccato anche un cimelio insolito: un pendente con un capello di Giuseppe Verdi, tratto da una ciocca acquistata ad un’asta da Pituello il quale ha ricordato di essere stato presente all’esumazione della salma del compositore nel 1951, esperienza di cui lui ricorda l’emozione profonda senza nessun macabro senso di timore.
Un ricordo impressionante a chiusura di un incontro con una figura a suo modo unica di appassionato e cultore del melodramma.
Bruno Tredicine