Violetta Valéry | Angel Blue |
Flora Bervoix | Sofia Koberidze |
Annina | Francesca Maionchi |
Alfredo Germont | Galeano Salas |
Giorgio Germont | Amartuvshin Enkhbat |
Gastone di Letorières | Carlo Bosi |
Barone Douphol | Gabriele Sagona |
Marchese d'Obigny | Jan Antem |
Dottor Grenvil | Giorgi Manoshvili |
Giuseppe | Alessandro Caro |
Domestico di Flora/Commissionario | Hidenori Inoue |
Direttrice | Speranza Scappucci |
Regia, scene, costumi, luci | Hugo De Ana |
Coreografia | Leda Lojodice |
ripresa da | Michele Cosentino |
Maestro del Coro | Roberto Gabbiani |
Coordinatore del Ballo | Gaetano Bouy Petrosino |
Direttore Allestimenti scenici | Michele Olcese |
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona |
Come Il barbiere di Siviglia e Madama Butterfly, La traviata rientra nella categoria delle opere meno "areniane" del repertorio estivo veronese: non è ricca di grandi scene di massa bensì di momenti di solitario raccoglimento e di drammatici confronti a tu per tu. Tuttavia, nel popoloso deserto che appellano l'Arena, è inevitabile che abbiano maggior successo non tanto gli allestimenti introspettivi, come quello contestatissimo di Graham Vick, ma quelli di carattere più sovraccarico, à la Franco Zeffirelli insomma. Tra queste due opposte visioni si è collocata quella di Hugo De Ana, che ha cercato di far convivere intimità e spettacolarità. Anche a nove anni di distanza dalla sua ultima ripresa (recensita da Alessandro Cammarano), tuttavia, questo allestimento si rivela riuscito solo a metà, appagante dal punto di vista estetico ma poco efficace nel ricostruire in maniera credibile le dinamiche tra i personaggi.
Poco convincente anche il versante musicale dello spettacolo, a cominciare dalla protagonista Angel Blue. Francesco Zanibellato, scrivendo della sua Aida alla Strathmore Music Hall di Bethesda, evidenziava già uno strumento imponente ma poco controllato soprattutto in acuto: nei panni di Violetta, ad onta di un timbro vellutato e pastoso, rivela infatti una tecnica carente nel dosare il peso della voce a quanto richiesto dalla parte, col risultato di trasformare tutti i pianissimi in fortissimi e di sporcare le puntature emesse nel "Sempre libera", che escono strozzate e gridate. L'impressione è che Traviata non sia l'opera adatta per far risaltare la sua voce, corrispondente ormai alle caratteristiche del soprano drammatico spinto, e mi auguro di risentirla in un repertorio e in ruoli a lei più congeniali.
Al suo fianco, Galeano Salas non può vantare una voce altrettanto proiettata e adatta agli spazi dell'anfiteatro, ma come Alfredo trova la sua ragion d'essere nella credibile evoluzione psicologica del personaggio: dalla timidezza del primo atto passa con disinvoltura alla spensieratezza del casino di campagna, al rancore del festino di Flora e infine alla disperazione al capezzale dell'amata sul letto di morte. La linea di canto è pulita, giusto un po' cauta nella salita all'acuto ma lo strumento si riscalda di atto in atto e conclude la recita in maniera più che soddisfacente.
Già impegnato nei panni del protagonista del Nabucco inaugurale e di Amonasro in Aida, Amartuvshin Enkhbat è alle prese con il suo terzo ruolo verdiano in neanche due settimane di festival. Se questa fitta agenda non ha intaccato la sua interpretazione del ruolo di Germont senior, non posso fare a meno di esprimere perplessità di fronte alla continua scrittura degli stessi interpreti negli stessi ruoli, cosa che va a inficiare le proposte dei cartelloni che di anno in anno offrono sempre meno novità, soprattutto in materia di repertorio. Ciò è maggiormente evidente nella prestazione dell'interprete, rinomato per la qualità della voce ma che spesso cade in una certa genericità interpretativa: fortunatamente, grazie al fattivo dialogo con la direzione, il baritono è riuscito a descrivere un Germont tanto ruvido nel rapporto con la seduttrice del figlio quanto sensibile nel ricordo dei tormenti della prole.
Ben allineato il fronte dei comprimari, tutti calati perfettamente nei rispettivi ruoli (Sofia Koberidze/Flora, Francesca Maionchi/Annina, Carlo Bosi/Gastone, Gabriele Sagona/Barone, Jan Antem/Marchese, Hidenori Inoue/Commissionario e Domestico di Flora, Alessandro Caro/Giuseppe) tra i quali spicca il cammeo nei panni del Dottor Grenvil di Giorgi Manoshvili, maturo e adatto a interpretare a ruoli più impegnativi all'interno dell'Arena.
A quattro anni di distanza dal suo debutto in Arena con la Messa di Requiem, Speranza Scappucci torna con successo a dirigere le maestranze veronesi. La sua è una lettura posta soprattutto al servizio delle voci, accompagnate con mano sicura e con l'adeguata attenzione alla parola scenica: esemplari in tal senso sono da considerare il drammatico duetto tra Violetta e Germont padre e l'ultimo atto. Le rispondono positivamente l'Orchestra e il Coro di Fondazione Arena, che si sono lasciati andare a sfumature languorose e trascinanti raramente udite all'aperto in un titolo come Traviata, che spesso ha risentito di direzioni più telluriche e roboanti. Peccato solo per i consueti tagli di tradizione alla seconda strofa del "Ah, fors'è lui" e al capo di "Gran Dio, morir sì giovine", avvallati forse dalla messa in scena, ma va ricordato che l'Arena è un palcoscenico poco adatto a riscoperte e vezzi filologici.
Pubblico, come sempre, molto partecipe e prodigo di applausi. Successo al calor bianco a fine spettacolo per i tre protagonisti e la direttrice.
La recensione si riferisce alla recita di venerdì 27 giugno 2025.
Martino Pinali