Violino | Corina Belcea |
Violino | Suyeon Kang |
Viola | Krzysztof Chorzselki |
Violoncello | Antoine Lederlin |
Quartetto Belcea | |
Programma | |
Arnold Schönberg |
Quartetto n.1 in re minore op. 7 |
Ludwig van Beethoven |
Quartetto n.14 in do diesis minore op. 131
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Passare del tempo con Arnold Schönberg è la proposta che il Festival di Salisburgo affida quest’anno al ciclo celebrativo “Zeit mit Schönberg” in occasione del 150º anniversario della nascita del compositore. Si tratta di undici eventi che mettono in connessione il grande maestro della cosiddetta Seconda scuola di Vienna con i suoi contemporanei e con compositori successivi per i quali è stato un precursore di nuovi linguaggi musicali.
Il concerto inserito in questo contesto e interpretato nella sala dorata del Mozarteum dal quartetto britannico Belcea si è basato invece su un concetto diverso, ovvero i “pionieri”, abbinando al Quartetto op 7 di Schönberg il tardo Quartetto op 131 di Beethoven. Prima e seconda scuola di Vienna si tendono la mano nella proiezione del titano verso orizzonti musicali futuri e nello sguardo (rivolto ancora per qualche istante al passato) del suo successore nel mondo musicale del nuovo secolo.
Non si percepisce una abissale distanza tra le due composizioni, anche per merito del suono del quartetto e del suo impegno nell’evidenziare i singoli segmenti di composizioni dallo svolgimento rapsodicamente mutevole. La cura della proposta musicale, della battuta, dell’inciso che colora lo sviluppo di una nuova intenzione è stata l’idea musicale portata a compimento con un suono modellato su un amalgama denso, coeso, ma profondamente duttile e lanciato costantemente in un fraseggio flessuoso, vibrante.
L’accostamento di Schönberg e Beethoven avviene sul terreno della forma aurea del classicismo, in entrambi i casi per superarla e proporne una visione aggiornata, in linea con la spinta creativa di un grande innovatore del Novecento e di un visionario del secolo precedente. Senza trascurare che il primo giunse alle proprie conclusioni anche grazie alla formidabile lezione del secondo.
Il quartetto op. 7 risalente al 1905 porta ancora l’indicazione di una tonalità precisa, ovvero il re minore, ed è una composizione carica di appassionato lirismo, esaltato dal piglio intenso dei musicisti guidati dalla violinista Corina Belcea.
Nobiltà e pienezza di suono, vitalità della costante tensione (in particolar modo nei pianissimi), infiniti legati animano il flusso ininterrotto di movimenti che sono piuttosto indicazioni agogiche. Lo sviluppo si dissolve e inizia a distanziarsi dalla tradizione, lasciando spazio a idee interconnesse con slancio innovativo, ma su proposte di sapore tardoromantico, quanto lo è anche l’ampiezza di un quartetto della durata di circa 45 minuti.
È monumentale nella forma anche il quartetto beethoveniano in do diesis minore, risalente al 1825, nel quale il Quartetto Belcea ha confermato la capacità di porsi veramente in ascolto della composizione e all’interno di situazioni dialogiche molto intense.
La composizione nata dal silenzio degli ultimi anni di Beethoven vive in questa interpretazione di una grazia luminosa e appassionata. La grande intesa di gruppo esprime il gusto nella ricerca del colore giusto per ogni idea, che sia un riferimento popolare, un fugato, un gioco di pizzicati, echi che uno strumento porge delicatamente all’altro, ponendosi attentamente in attesa della risposta. Nuovo e antico si incontrano significativamente anche nel suono degli strumenti scelti: un violino recentissimo e tre strumenti risalenti alla fine del Seicento e alla prima metà del Settecento, tra i quali emerge il canto della viola Amati datata 1670.
Rispetto al frequentissimo sold out degli eventi del festival, le proposte concertistiche che comprendono musica del Novecento lasciano sempre agli spettatori dell’ultimo minuto la possibilità di trovare ancora biglietti. Concerti come questo possono convincere gli esitanti e sono per il festival un investimento culturale importante che cerca di ridurre una distanza ancora fortemente presente. Il timore del “nuovo” continua infatti a precedere Schönberg nei programmi da concerto, pur trattandosi di storia e di un linguaggio che almeno nella prima fase della sua produzione, come in questo caso, è capace di parlare a un vasto pubblico di non addetti ai lavori.
La recensione si riferisce al concerto del 19 agosto 2024
Rossana Paliaga