Soprano | Maria Ladurner |
Controtenore | Maarten Engeltjes |
Tenore | Cyril Auvity |
Baritono | Riccardo Novaro |
Direttore | Ruben Jais |
Maestro del Coro | Matteo Magistrali |
Ensemble strumentale e vocale laBarocca |
Esistono diverse tradizioni attorno ai momenti dell’anno in cui eseguire il Messiah: Händel era solito inserirlo nei cartelloni di Quaresima o Pasqua (soprattutto per via della terza parte, in cui si parla diffusamente di resurrezione e redenzione), ma già all’epoca del compositore è attestato l’uso di eseguire l’oratorio durante l’Avvento e la proposta dell’Auditorium di Milano si inserisce in questa seconda linea di pensiero.
L’assetto di orchestra e coro anticipa già il rigore con cui viene affrontata la lettura dell’opera: complessi baroccamente scarni – quattro coristi per sezione e gli archi con soli cinque violini primi – e presenti sul palco solo gli strumenti indicati in partitura, dalla coppia di trombe alla doppia coppia di oboi e fagotti per il ripieno e un organo positivo per il continuo. Andando dritti al punto, entrambi i complessi de laBarocca hanno registrato prove assolutamente maiuscole nell’affrontare un titolo monstre proposto nella sua integralità e offrendo da una parte una compagine orchestrale coesa, dal suono pulito, rispettosa della prassi esecutiva ma per nulla rigida e inamidata, dall’altra un coro preparato da Matteo Magistrali più esiguo rispetto a quello che ci si potrebbe attendere ma compattissimo, composto di voci dal bel timbro e con un eccellente equilibrio tra le quattro parti che suonano piene anche quando cantano a sezioni e capaci di rendere ben individuabili le singole linee anche nei passi più densamente contrappuntistici. I cori sono senz’altro il punto di forza di questa esecuzione, dalla riuscita non scontata e molto apprezzati; quasi inutile dirlo, l’Hallelujah che chiude la seconda parte riscuote sempre un buon successo (peraltro eseguito meglio come bis che nel corso ordinario dell’oratorio). Meritevole di segnalazione il buon lavoro di Matteo Riboldi al continuo.
Parlando di risultati, quelli dei quattro soli sono meno omogenei. Prova non particolarmente incisiva da parte di Riccardo Novaro, che forse avrebbe potuto dare di più nella caratterizzazione delle singole arie; Maarten Engeltjes possiede una bella musicalità, tuttavia il registro grave – su cui Händel insiste notevolmente – è molto debole e poco appoggiato, a differenza di quello acuto che nelle fioriture risuona luminoso e pieno. Dotato di un timbro caldo e omogeneo nel passaggio tra i registri, Cyril Auvity approccia la partitura con scrupolo e conferisce un peso specifico alle parole (evidente sin dal recitativo "Comfort ye my people"), una caratteristica che lo avvicina a Maria Ladurner, una voce cristallina e ricca di armonici che si fa apprezzare in particolar modo nella celebre aria "I know that my Redeemer livet".
A guidare una massa non voluminosa ma comunque impegnativa è la bacchetta di Ruben Jais, fondatore de laBarocca nel 2008. L’ossequio alla partitura c’è ed è profondo, unito a una manifesta familiarità con il repertorio barocco; nella lettura lucidissima di Jais le sonorità sono accuratamente soppesate e le intensità sono dosate con la massima attenzione, sia per ragioni drammaturgiche sia per ragioni strettamente di resa timbrica. Il risultato è un’esecuzione di grande fascino ed eleganza, dove ogni tanto si vorrebbe forse allentare il nodo della cravatta.
La recensione si riferisce al concerto del 1 dicembre 2022.
Luca Fialdini