Rosina | Chiara Amarù |
Figaro | Gurgen Baveyan |
Conte di Almaviva | Dave Monaco |
Don Bartolo | Roberto Abbondanza |
Don Basilio | Arturo Espinosa |
Berta | Paola Valentini Molinari |
Fiorello/Un ufficiale | Tommaso Corvaja |
Ambrogio | Giorgio Marcello |
Abitanti della città | Margherita Calderisi, Niccolò Laface, Lorenzo Gremignai, Mariangela Riz, Francesca Rugani, Marco Tognetti |
Direttore | Francesco Pasqualetti |
Maestro del coro | Riccardo serenelli |
Regia, scene e luci | Luigi De Angelis (Progetto Fanny & Alexander) |
Costumi | Chiara Lagani |
Orchestra Filarmonica Marchigiana | |
Coro Lirico Marchigiano "Bellini" |
Per il secondo titolo della stagione lirica 2023 arriva al Pergolesi l’edizione de Il barbiere di Siviglia coprodotto con i teatri di Pisa, Ravenna, Rovigo (dove è già andata in scena), e Lucca, dove approderà il prossimo gennaio. Sulla parte scenico-registica ci sentiamo di confermare le impressioni di Daniela Goldoni espresse riguardo la recita ravennate, pur con un paio di distinguo: “La scena, unica, mostra il pianterreno e il primo piano di un condominio a grandi finestre che affacciano sulla strada, quasi sempre a tende aperte. Le luci suggeriscono i momenti della giornata, in sintonia con le attività della strada: di notte dorme una senzatetto, di prima mattina c’è quello che corre e poi fa stretching, una signora cammina con un deambulatore, una ragazza col bastone bianco si ferma solo se le piace la musica, molti zainetti vanno e vengono, c’è lo spazzino che raccoglie le cartacce e avrà la sua parte nel giro dei biglietti di Rosina, c’è anche un Umarell (omarello, figura iconica emiliano-romagnola) che osserva gli exploit erotici di Berta con le mani dietro la schiena, come davanti a un cantiere. Spesso i passanti silenziosi, sei attori molto giovani, non si limitano a guardare ma hanno una vita propria che commenta gli eventi con tante piccole controscene, spesso appena accennate, una più bella dell’altra, rafforzando la vicenda quando rischia di essere fagocitata dai celeberrimi numeri rossiniani: una voce poco fa, largo al factotum, la calunnia escono dallo status di monumenti durante i quali tutto si ferma per sentire cosa fa il cantante, ricondotti nel fluire del racconto. Tutto senza ridondanze, senza forzature, senza alcun fastidio per chi guarda, con leggerezza e intelligenza. C’è un grande lavoro sul libretto, sulle parole, sulla stretta relazione con la musica e una notevole rapidità di pensiero teatrale. Si ride anche spesso, esito non da poco.”
I distinguo riguardano proprio l’abbondanza delle controscene, le quali a volte finiscono per risultare un po' disturbanti rispetto alla musica soprattutto quando non strettamente (e intelligentemente) legate all’azione scenica: il già citato momento dello spazzino, che raccogliendo le cartacce nelle quali incappa anche il biglietto di Rosina a Lindoro rischia di mandare a monte l’inghippo degli amanti, è veramente esilarante, come molto centrata l’idea che Figaro pensi al travestimento del Conte durante il duetto guardando un carabiniere che passeggia facendo il saluto militare a una signora (e infatti proprio vestito da carabiniere si presenterà a Bartolo il Conte fintamente ubriaco). Tuttavia l’uso continuo di questo espediente ha rischiato di creare l’effetto contrario, cioè distrarre dall’azione invece di sostenerla, ed esempio preclaro è stata la lunga controscena svolta sotto il rondò “Cessa di più resistere” che mostrava due ragazzotti impegnati a fare fitness e poi abbandonarsi a effusioni sul divano. Il pubblico è risultato inevitabilmente più incuriosito dalla scena queer rispetto al momento vocalmente impegnativo del tenore, che quasi rischiava di passare in secondo piano. Un po' troppa carne al fuoco, insomma, che certamente non rovina l’allestimento ma non lo rende così ben convincente come avrebbe potuto essere con un po' più di calibrazione.
Riguardo la parte musicale Francesco Pasqualetti ha proposto una direzione direi “vecchio stile”, intesa come libera interpretazione di tempi e dinamiche rispetto al testo scritto e mettendo in risalto alcuni temi invece che altri a seconda della propria sensibilità artistica o del bisogno dei cantanti. Il che non è affatto un male, soprattutto quando suscita un certo interesse nell’ascoltatore rispetto a melodie universalmente note: il problema però è che dovrebbe anche essere sostenuto dall’orchestra e, spiace molto dirlo, in questa occasione la Filarmonica Marchigiana è incappata in serata davvero infelice, con diverse imprecisioni e un suono degli archi piuttosto vetroso. Non benissimo nemmeno il coro, di dinamica limitata a un forte perenne con la parziale scusante di aver dovuto cantare sempre fuori scena. Note più liete invece dal cast, dove a fronte della lodevole riapertura di quasi tutti i tagli di tradizione, sia per i numeri musicali che per i recitativi (non mero accessorio ma importantissimi per capire la trama, soprattutto quelli durante la scena del balcone e prima del temporale), quasi tutti gli interpreti sono riusciti a vivificare con la parola scenica i vari momenti musicali.
Il quasi fa riferimento al Bartolo di Roberto Abbondanza, artista apprezzato in varie altre occasioni ma che nella serata che qui si recensisce è apparso abbastanza in difficoltà: troppo numerosi gli scantonamenti nel parlato, sia durante i citati recitativi che nei numeri musicali, insufficiente il sillabato veloce nella grande aria del primo atto portata avanti con fatica, ma soprattutto del tutto fuori stile certe caccole di frusta tradizione che si sperava di non dover sentire più, in particolare nella scena della lezione. A fronte dell’annuncio ufficiale di un’indisposizione ha invece ben impressionato Chiara Amarù, voce di notevole ampiezza ed estensione e di estrema precisione nello sgranare tutte le agilità. L’annunciato stato di non perfetta forma si è percepito nella prudenza di qualche semplificazione di scrittura, ma la maliziosità del fraseggio non ne ha minimamente risentito nel disegnare un personaggio completo e credibile. A fronte di un precedente ascolto di qualche anno fa, il Figaro di Gurgen Baveyan sembra aver guadagnato in esperienza per rendere adeguatamente il personaggio. Un po' trattenuto nell’aria, a vero dire, ma in continuo crescendo nel corso dell’opera, e con un bel timbro chiaro e ottima presenza scenica che rendono perfettamente “il suo discorso, il suo gioviale aspetto” di librettistica dote. Menzione d’onore per la notevole scioltezza nell’articolazione delle parole, con una lettura del biglietto recitata con tanto di microfono da fare invidia ad attori consumati. Dave Monaco si sta facendo strada sempre di più nel novero dei tenori rossiniani e si capisce il perché: voce di buona sostanza, gradevole nel timbro e con agilità pulite e sicure, convince sia nelle parti più distese che in quelle di maggiore virtuosismo. Applauditissimo a ragione al termine del rondò “Cessa di più resistere”, affrontato nelle sue funamboliche agilità con grande sicurezza. Bella voce e di buona proiezione quella di Arturo Espinosa, che paga abbastanza la lentezza dei tempi nella Calunnia dove non riesce a diversificare a dovere l’accento, ma dà il suo fondamentale contributo al finale primo e al quintetto del secondo atto. Bravissima la Berta di Paola Valentina Molinari, che nell’aria di sorbetto si spinge anche a una puntatura al re naturale di una sicurezza impressionante.Completa il cast il bravo Tommaso Corvaja nel doppio ruolo di Fiorello e Un ufficiale, molto impegnato anche nelle controscene che lo vedevano continuamente corteggiato da Berta.
Successo pieno per la compagnia e pubblico che ancora una volta ha riempito il Pergolesi in ogni ordine di posti.
La recensione si riferisce alla prima del 3 novembre 2023
Domenico Ciccone