Juliette | Valentina Naforniţă |
Roméo | Juan Diego Flórez |
Frère Laurent | Evgeny Stavinsky |
Mercutio | Alessio Arduini |
Stéphano | Vazilisa Berzhanskaya |
Le Comte Capulet | Francesco Milanese |
Tybalt | Giorgio Misseri |
Benvolio | Lulama Taifasi |
Gertrude | Xenia Tzouvaras |
Le Comte Pâris | Francesco Samuele Venuti |
Grégorio | Eduardo Martinez Flores |
Le Duc de Vérone | Adriano Gramigni |
Direttore | Henrik Nánási |
Regia | Frederic Wake-Walker |
Scene | Polina Liefers |
Costumi | Julia Katharina Berntd |
Luci | Peter Mumford |
Video | Ergo Phizmiz |
Movimenti coreografici | Anna Olkhovaya |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino | |
Nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino |
C'erano voluti ventidue anni per rivedere Juan Diego Flórez a Firenze dopo le sue recite del lontano 1998 in Le Comte Ory e in Falstaff. Nel 2020 un concerto dall'esito trionfale vide il ritorno in terra toscana del fuoriclasse peruviano (vedi la recensione di chi scrive), che in questa 84esima edizione del Maggio Musicale è tornato protagonista di un'opera completa, impersonando il personaggio maschile principale di Roméo et Juliette di Charles Gounod.
Per la prima rappresentazione fiorentina del titolo in epoca moderna si è scelto di affidare la regia a Frederic Wake-Walker, che già aveva firmato il discreto allestimento dell'Adriana Lecouvreur inaugurale dello scorso anno (vedi la recensione di Silvano Capecchi), ma la modestia del risultato raggiunto in questa occasione spinge a parlare, prima che della parte visiva, di quanto nella produzione ha funzionato. A cominciare dalla concertazione sicura di Henrik Nánási, preciso quanto attento a cogliere lo stile della partitura, abile a sostenere le voci, con solo una leggera tendenza a farsi prendere la mano con l'intensità sonora nei passi più concitati, resi con vibrante energia. Tendenza veniale, tuttavia, dato che si avverte in modo sistematico in quasi tutte le esecuzioni nel nuovo Auditorium intitolato a Zubin Mehta, a causa dell'acustica “generosa” e non facile da gestire. In sintesi, non una direzione che trabocchi fantasia, ma dotata in abbondanza di varietà nelle dinamiche, gusto e alto mestiere, sorretta dalla prestazione dell'Orchestra del Maggio all'altezza della sua fama.
Eccellente per colore e compattezza il Coro diretto da Lorenzo Fratini, particolarmente impegnato in quest'opera, che non fa mancare il suo puntuale contributo nel valorizzare il sublime ed emozionante finale terzo.
Occhi puntati su Flórez, ovviamente, il quale dopo un quarto di secolo di carriera a livelli altissimi offre una prestazione ancora esemplare per sicurezza e tenuta. Rispetto ai formidabili esordi, il timbro e l'estensione sono pressoché intatti, evidenziando uno strumento conservato con dedizione e relativa cautela nelle scelte di repertorio. Il ruolo di Roméo gli si addice soprattutto nei passi più lirici e dolenti, valorizzati dal legato e dallo stile elegantemente comunicativo del tenore, che incassa una vera e propria ovazione al termine di un “Ah, lève-toi, soleil” cesellato con solare dolcezza.
Ancora più suggestivi gli impalpabili pianissimi del canto a fior di labbro con cui conclude il duetto con Juliette nel finale secondo, con uno struggente “Va! Repose en paix!” che è vero momento magico (con il contributo del tappeto sonoro creato dal direttore) che da solo vale l'intera serata. Meno incisivo, anche se sempre solido e fremente nell'accento, nelle frasi più drammatiche, con passaggi in cui occorrerebbe sfoderare una robustezza nei centri che non è mai stata una sua caratteristica peculiare.
Molto curata la distribuzione delle numerose parti che affiancano il duo dei protagonisti, a cominciare dal Mercutio di Alessio Arduini e dal Tybalt di Giorgio Misseri, entrambi non solo sicuri nel canto, ma anche capaci di caratterizzare i rispettivi personaggi sia dal punto di vista vocale che con presenze sceniche disinvolte.
Belle, autorevoli e sonore voci di basso per Evgeny Stavinsky (Laurent) e per Adriano Gramigni (Duc de Vérone), mentre Vasilisa Berzhanskaya emerge nel ruolo en travesti di Stéphano grazie a uno strumento esteso e dal bel timbro personale, screziato da un caratteristico vibrato stretto.
Apprezzabile Francesco Milanese nel ruolo del Comte Capulet e più che adeguati gli interpreti delle importanti parti di fianco, Xenia Tziouvaras (Gertrude), Francesco Samuele Venuti (Comte Pâris), Lulama Taifasi (Benvolio), Eduardo Martínez Flores (Grégorio).
Avrebbe potuto essere, insomma, un'edizione memorabile con una Juliette, magari non fuoriclasse a livello di Flórez, ma quantomeno capace di tenergli adeguatamente testa e con uno spettacolo gradevole.
Valentina Nafornița figura in molti cartelloni internazionali per ragioni che, dovendole ricavare da quanto ascoltato a Firenze nel Così fan tutte e in questa produzione di Roméo et Juliette, appaiono quanto meno discutibili. Se come Fiordiligi era parsa poco primadonna, poco incisiva, ma quanto meno in possesso delle note della parte, di cui veniva a capo senza troppo esaltare (vedi recensione di chi scrive), come Juliette le cose non migliorano, anzi. La voce nella seconda ottava sarebbe ben proiettata, smaltata e di timbro gradevole anche se piuttosto comune, ma troppa è la fatica nel registro acuto (particolarmente evidente nell'ardua scena del quarto atto “Amour, ranime mon courage”), non compensata da personalità o accenti di qualche rilievo, adeguati a una produzione ambiziosa.
Peggio va con l'allestimento, come si accennava sopra, esempio di non-regia in cui lo spazio relativamente limitato dell'Auditorium (che però di recente Rosetta Cucchi e Cesare Lievi hanno dimostrato di saper utilizzare con ottimi risultati) viene gestito in modo rinunciatario da Frederic Wake-Walker, che imposta l'impianto scenico creato da Polina Liefers su quattro strutture lignee molto stilizzate che si compongono e scompongono. Si crea così un effetto Ikea - stile Denis Krief poco ispirato - con un impatto visivo buono per una qualsiasi opera, di qualsiasi repertorio, nessuno escluso, dove la recitazione dei personaggi è limitata a pose convenzionali e si tenta di movimentare quanto si vede in scena con l'intervento di balletti, coreografati da Anna Olkhovaya, piuttosto ovvi e che diventano francamente brutti nel quinto atto.
Né aiutano le luci macabre di Peter Mumford (con l'eccezione del finale secondo, unico acuto della regia, che qui sottolinea con una bella atmosfera un magico momento musicale), i costumi (particolarmente sgraziati nella scena del matrimonio “imposto” a Juliette) di Julia Katharina Berndt e i soliti video sullo sfondo, in questa occasione miseri e poco gradevoli, di Ergo Phizmiz, con un oblò dove si proiettano immagini che poco hanno a che vedere con quel che accade in scena.
Sala gremita e quasi esaurita alla prima, ottimo successo complessivo, con grandi applausi in particolare per Flórez, e qualche contestazione non isolata per i responsabili della parte visiva.
La recensione si riferisce alla prima del 27 aprile 2022.
Fabrizio Moschini