Violetta Valery | Francesca Sassu |
Alfredo Germont | Valerio Borgioni |
Giorgio Germont | Vincenzo Nizzardo |
Flora Bervoix | Reut Ventorero |
Annina | Sharon Zhai |
Gastone | Giacomo Leone |
Barone Douphol | Alfonso Michele Ciulla |
Marchese d'Obigny | Alessandro Abis |
Dottor Grenvil | Nicola Cianco |
Giuseppe, domestico di Flora | Ermes Nizzardo |
Un commissario | Filippo Quarti |
Direttore | Enrico Lombardi |
Regia | Luca Baracchini |
Scene | Francesca Sgariboldi |
Costumi | Donato Didonna |
Luci | Gianni Bertoli |
Maestro del Coro | Massimo Fiocchi Malaspina |
Orchestra I Pomeriggi Musicali | |
Coro OperaLombardia |
La traviata è un titolo che, fin dalle sue origini, ha suscitato, ne siamo certi, qualche alzata di ciglio da parte di una certa borghesia benpensante che, animata da forti pregiudizi, ha trovato poco consono, per usare un eufemismo, mettere in scena la storia di una prostituta, seppur nobilitata dalla sua “redenzione” finale. Un’ottica di facciata forse, secondo la quale certi panni sporchi è meglio lavarli in segreto, dietro le quinte, non sopra l’assito di un palcoscenico, ma in ogni caso una prospettiva di pensiero rassicurante.
Come rendere dunque ancora vivo un racconto come questo, si chiede il regista Luca Baracchini, togliendolo da quella comfort zone in cui noi tutti l’abbiamo relegato? Se lo scopo del teatro è quello di far riflettere, di mettere a nudo i nostri preconcetti mostrandoli sulla scena, come è possibile scuotere gli animi degli spettatori oggi, raccontando vicende che ormai a centosettant’anni dalla loro prima messa in scena sono divenute una scelta quasi scontata?
Ed ecco l’idea di cambiare prospettiva e di leggere la figura di Violetta come quella di una donna transgender che ha ormai completato il proprio percorso di transizione e che, proprio per questo motivo, patisce quell’isolamento sociale così ben esemplificato dal giudizio iniziale che di lei dà Germont padre. L’idea sulla carta ci è parsa davvero arguta ed intelligente: mettere in scena il pregiudizio che oggi circonda le persone transgender, paragonandolo a quello che in passato poteva colpire chi, costretto o meno dalle contingenze, avesse condotto una vita non allineata, è senza dubbio un’operazione interessante.
Il problema dell’allestimento andato in scena al Ponchielli di Cremona è che questo spunto iniziale rimane un poco in superficie, all’interno di una messa in scena, se vogliamo, di stampo oltremodo tradizionale. Ad apertura di sipario, l’alter ego di Violetta, che impersonifica la donna prima della transizione mentre è ancora imprigionata all’interno di un corpo maschile, si guarda allo specchio, in mutande, e prova vergogna per il proprio essere. Da questo istante egli si trasformerà in un compagno silenzioso che si accosterà alla protagonista nei momenti chiave, accompagnandola fino alla morte e denudandosi completamente nel tentativo di mimare un’autoevirazione durante l’”addio al passato”.
Se si eccettua questa componente, la scritta “Amati” tracciata su uno specchio e un festino sadomaso con tanto di travestiti e frustini, elemento non certo nuovo all’interno degli allestimenti degli ultimi anni, la riflessione sulla disforia di genere e sulla profonda sofferenza che essa ingenera in chi è costretto ad affrontarla non trova altra collocazione, rimanendo, a nostro parere, soltanto in superficie. Le scene di Francesca Sgariboldi si limitano a delineare due ambienti: un locale alla moda di proprietà di Douphol e la casa di Violetta ed Alfredo ancora in fase di ristrutturazione; i costumi di Donato Didonna si rifanno ovviamente all’epoca contemporanea.
Enrico Lombardi dirige l’Orchestra I Pomeriggi Musicali staccando tempi davvero serrati. Buona senza dubbio l’idea di eliminare i tagli di tradizione prendendo in esame la partitura senza preconcetti, ma la lettura proposta alla fine non ci è parsa davvero così nuova, rutilante, o particolarmente ricca di chiaroscuri.
Francesca Sassu è una Violetta vocalmente corretta, ma non così coinvolgente, a causa anche di una certa freddezza di fondo che non consente di dar luce ad accenti particolarmente introspettivi, come ben si evidenzia nella scena finale. Valerio Borgioni veste i panni di un Alfredo dotato di uno strumento dal bel colore, ma che palesa qualche leggero problema di intonazione.
Vincenzo Nizzardo tratteggia, invece, un Giorgio Germont non completamente a proprio agio in scena, altalenante nella prestazione, cui forse andrebbe richiesta maggior morbidezza di suoni e miglior cura del legato. Non più che adeguate la Flora Bervoix di Reut Ventorero e l’Annina di Sharon Zhai. Con loro: Giacomo Leone (Gastone), Alfonso Michele Ciulla (Barone Douphol), Alessandro Abis (Marchese d’Obigny), Nicola Ciancio (Dottor Grenvil), Ermes Nizzardo (Giuseppe, Domestico di Flora), Filippo Quarti (Un commissario). Ottima davvero la prova del Coro OperaLombardia preparato da Massimo Fiocchi Malaspina.
Teatro gremito; pubblico diviso fra roboanti segnali di dissenso e plausi di approvazione, come accade talvolta di fronte a letture non tradizionali di vicende oltremodo note.
La recensione si riferisce alla prima del 2 dicembre 2022.
Simone Manfredini