Ercole | Renato Dolcini | |
Venere/Bellezza/Cinzia | Paola Valentina Molinari | |
Iole | Hilary Aeschliman | |
Giunone | Theodora Raftis | |
Hyllo | Jorge Navarro Colorado | |
Deianira | Shaked Bar | |
Nettuno/Ombra di Eutyro | Federico Domenico Eraldo Sacchi | |
Pasithea | Chiara Nicastro | |
Licco | Danilo Pastore | |
Paggio | Maximiliano Danta | |
Mercurio | Matteo Straffi | |
Tevere | Arrigo Liverani Minzoni | |
Tre Grazie | Benedetta Zanotto, Giorgia Sorichetti, Isabella Di Pietro | |
Maestro concertatore e direttore | Antonio Greco | |
Regia | Andrea Bernard | |
Scene | Alberto Beltrame | |
Costumi | Elena Beccaro | |
Light designer | Marco Alba | |
Coereografie | Giulia Tornarolli | |
Assistente regia | Tecla Gucci Ludolf | |
Assistente scene | Giulia Turconi | |
Assistente costumi | Emilia Zagnoli | |
Orchestra e Coro Monteverdi Festival - Cremona Antiqua |
Quando nel 1662 Francesco Cavalli fu chiamato a Parigi per comporre Ercole amante in occasione delle nozze fra Luigi XIV e Maria Teresa d’Asburgo, egli non solo era uno tra i più grandi operisti in attività, ma incarnava anche in sé il momento di massima fioritura del teatro musicale veneziano di cui era protagonista assoluto dopo il ritiro di Monteverdi. Tuttavia l’incontro tra l’opera italiana e il gusto della corte francese fu meno armonioso di quanto Mazzarino si augurasse. Se Ercole amante non ottenne il successo sperato alla sua prima esecuzione al Théâtre des Tuileries, ciò non fu infatti per carenza di inventiva musicale dal momento che la partitura di Cavalli rappresenta uno dei vertici della sua arte per ampiezza, varietà formale e per il tentativo di conciliare la tradizione del teatro italiano con le esigenze spettacolari dello stile francese.
L’opera presenta una scrittura vocale duttile, sorretta da un recitativo fortemente plastico e drammaturgicamente funzionale che si accende in ariosi o arie di pregnante efficacia melodica. La presenza del coro, pressoché assente nelle opere coeve destinate alla scena veneziana, e l’uso di un organico orchestrale ampliato testimoniano la volontà di Cavalli di adattare la propria arte a un contesto fastoso e ritualizzato, senza rinunciare a una vena teatrale vivacissima e a una sorprendente libertà narrativa. L’opera alterna episodi mitici a scene di registro comico, intrighi di corte a momenti di struggente introspezione, sempre sostenuta da una tensione espressiva che si avvale di una scrittura sapiente e variegata.
A questo magma drammatico-musicale Andrea Bernard ha saputo dare una forma teatrale coerente e affascinante. La sua regia si è mossa con intelligenza fra ironia e pathos, senza mai cadere né nel decorativismo barocco né nella forzatura concettuale. Ambientando l’opera in una festa di nozze contemporanea, egli ha saputo evocare lo spirito originario della commissione, quello della celebrazione nuziale, traslandolo in un contesto di quotidiana riconoscibilità senza banalizzazioni. Il meccanismo scenico, costruito su un impianto fisso con ingressi obliqui e caratterizzato da presenze teatrali “altre” (gli dèi) che osservano e talvolta intervengono, ha permesso un gioco calibrato di azioni altalenanti tra il piano umano e quello divino. Le divinità, sospese in una dimensione liminare, sono maschere dell’inconscio e della memoria mitica, splendidamente rese con costumi che evocano un barocco reinventato per mano di Elena Beccaro, lontano da ogni oleografia. Le belle luci di Marco Alba hanno saputo poi accentuare questa dialettica tra tempo reale e spazio simbolico. In perfetta linea con le intenzioni registiche anche le scene pensate da Alberto Beltrame che rappresentano, come è naturale, la sala del banchetto nuziale sul cui fondo si apre un piccolo palcoscenico all'interno del quale si svolgono alcune delle azioni "divine", così da sottolinarne ulteriormente l'artificiosità e la teatralità.
Fondamentale nella riuscita dello spettacolo è stato il lavoro drammaturgico sul gesto e sul movimento. Le coreografie di Giulia Tornarolli hanno interpretato la danza non come semplice intermezzo, ma come continuo flusso narrativo, in dialogo con la musica e la parola, ridando senso alla vocazione coreutica originale dell’opera.
Sul versante musicale, Antonio Greco ha diretto l’orchestra del Monteverdi Festival Cremona Antiqua con sicurezza stilistica e profonda comprensione dell’estetica cavalliana. La concertazione si è distinta per varietà agogica e sapiente dosaggio timbrico: mai eccessiva, mai manierata. Notevole l’attenzione ai dettagli, alla costruzione dei climi espressivi, dai lamenti più intimi agli episodi corali più solenni. Particolarmente efficace l’impiego delle percussioni in alcuni momenti drammatici, come nella marcia funebre o nei passaggi infernali, sempre al servizio dell’azione.
Il cast vocale si è rivelato omogeneo e ben equilibrato, con punte di eccellenza nei ruoli principali. Renato Dolcini ha scolpito un Ercole vocalmente autorevole e scenicamente incisivo, capace di esprimere, accanto alla forza virile, un’inquietudine interiore che ne ha umanizzato la figura. La sua declamazione è stata sempre chiara e ben articolata, sorretta da un fraseggio vario.
A tenere testa al protagonista, una Deianira intensa e nobile, quella di Shaked Bar che ha saputo unire timbro avvolgente e raffinata introspezione emotiva. La giovane Iole di Hilary Aeschliman ha brillato per vivacità e nitore del mezzo, mentre Jorge Navarro Colorado ha reso con gusto e freschezza il personaggio di Hyllo, conferendo spessore a una figura spesso trascurata.
Theodora Raftis ha vestito i panni di Giunone con eleganza e fermezza, disegnando un ritratto vocale dalla linea autorevole, e Paola Valentina Molinari ha interpretato le sue tre divinità (Venere, Bellezza e Cinzia) con duttilità, senso scenico e intelligenza musicale. Note di merito anche per Federico Domenico Eraldo Sacchi, che ha reso un Nettuno possente dai gravi profondissimi e un’Ombra di Eutyro carica di gravitas, oltre che per Danilo Pastore, vivace e disinvolto nel ruolo di un Licco in vesti femminili, in riuscita interazione con il Paggio di Maximiliano Danta. Tra i comprimari si segnalano le prove solide di Chiara Nicastro (Pasithea), Matteo Straffi (Mercurio) e Arrigo Liverani Minzoni (Tevere), come pure la raffinata eleganza delle Tre Grazie (Benedetta Zanotti, Giorgia Sorichetti, Isabella Di Pietro).
Ottima la prestazione del Coro Monteverdi Festival, preciso nell’emissione, impeccabile negli attacchi e perfettamente integrato nel tessuto musicale e scenico.
Con Ercole amante, il Monteverdi Festival chiude non solo con un atto di filiale omaggio all’eredità del cremasco Cavalli, ma con uno spettacolo capace di riscrivere la tradizione alla luce della contemporaneità. Un teatro musicale che, pur nelle sue stratificazioni barocche, torna a essere corpo vivo, riflesso anche delle nostre fragilità, delle nostre aspirazioni, delle nostre contraddizioni più profonde.
La recensione si riferisce alla prima di venerdì 27 giugno 2025.
Simone Manfredini