Soprano | Juliana Grigoryan |
Mezzosoprano | Isabel De Paoli |
Tenore | Klodjan Kaçani |
Basso | Riccardo Zanellato |
Direttore | Riccardo Muti |
Maestro del Coro | Antonio Greco |
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini | |
Coro Luigi Cherubini e Coro Cremona Antiqua |
Con il Requiem verdiano Riccardo Muti ha una frequentazione pluridecennale, risalente addirittura agli anni '70 dei suoi esordi direttoriali. Pare difficile quindi, anche in occasione del suo ultimo cimento - al PalaDozza di Bologna - con il più celebre lavoro extraoperistico di Verdi, sottrarsi dai luoghi comuni in cui ogni cronista può cadere ogni qual volta è testimone della riproposizione di un classico.
Di vero e proprio classico si può parlare a proposito del Requiem "di Muti", perfezionato e ripensato nel corso di quasi mezzo secolo di esecuzioni con innumerevoli orchestre, cori e solisti. Ed è percepibile l'affinità del maestro con questa monumentale composizione, diretta con la souplesse di chi ne conosce ogni più minuta piega e sfumatura. Se è palese il lavoro minuzioso del concertatore avvenuto a monte con l'eccellente Orchestra Giovanile Cherubini e con il Coro Luigi Cherubini, affiancato dal Coro Cremona Antiqua, non sfuggono la precisione e la naturalezza con cui Muti durante l'esecuzione tiene sotto il suo completo controllo, con gesti elegantemente misurati, ogni nota dell'esecuzione, ogni singolo attacco, si potrebbe dire persino ogni singolo strumento.
L'esecuzione bolognese è in linea con la fase più matura della carriera mutiana, quella in cui la foga e il nerbo si sono stemperate in letture più riflessive senza perdere neppure un'inezia di intensità espressiva, di ampiezza di respiro interpretativo e di splendore sonoro. Un Requiem che restituisce la grande dualità del capolavoro verdiano, capace di parlare a credenti e non credenti, in un coinvolgimento emotivo (o spirituale, per chi vuole) che trascina sin dalle prime note sommesse e che trapassa senza soluzione di continuità nel gigantismo sonoro del Dies irae e nelle trasparenze dei passaggi più delicati. Il tutto con un bilanciamento esemplare tra suono orchestrale e voci soliste, il cui accompagnamento è curato in ogni dettaglio.
Nell'orchestra non si sa se lodare maggiormene la compattezza degli archi, la timbrica dei fiati o la roboante precisione delle sollecitatissime percussioni. Si poteva temere per l'acustica di un impianto nato per manifestazioni di altro tipo, ma - quanto meno dalla poltrona assegnata a chi scrive - la resa sonora è stata ogni oltre ragionevole speranza, non si sa se per ulteriore merito di Muti che ha "preso le misure" del PalaDozza o grazie alla forma della stessa storica arena sportiva dalle vertiginose tribune, che già aveva ospitato alcune esecuzioni operistiche bolognesi durante l'emergenza legata alla pandemia.
L'unica esecuzione (con sold out) di questo Requiem programmato nell'ambito di Bologna Festival e patrocinato dalla società Illumia ha anticipato il prossimo futuro nel capoluogo emiliano della musica colta, che dovrà stare per lungo tempo lontana dal Teatro Comunale, oggetto di importanti lavori di restauro e migrare in altri siti.
All'esito trionfale della serata, oltre all'eccelsa direzione di Muti (in forma spettacolare anche alla fine dell'esecuzione con una delle sue note performance da grande intrattenitore su musica, arte e massimi sistemi durata non meno di dieci minuti) e alle qualità di orchestra e cori (questi ultimi mirabilmente preparati da Antonio Greco), hanno contribuito adeguatamente i solisti, per i quali è apparsa evidente la scelta di voci liriche e di peso specifico relativamente limitato rispetto a una certa tradizione esecutiva della composizione. Una tradizione non univoca, ma comunque plausibile, che storicamente ha visto cimentarsi con il Requiem voci privilegiate per ampiezza, timbro e potenza. Non l'unica possibile, comunque, come ben dimostrato anche in questa occasione in cui Muti ha scelto strumenti vocali funzionali alla lettura proposta. Così accanto all'esperto basso Riccardo Zanellato, che già in passato aveva egregiamente eseguito il ruolo con lo stesso Muti (e che in questa occasione ha confermato il gusto e la capacità di sfumare le frasi solenni che gli sono riservate), si è apprezzata la pulita linea di canto e il bel legato del giovane tenore Klodjan Kaçani, dalla voce chiara e omogenea timbricamente.
Voci altrettanto delicate (e magari non proprio sonore nell'ottava inferiore) quelle femminili, ma estremamente espressive, sia nel caso del mezzosoprano Isabel De Paoli, dal bel colore personale e dal fraseggio curato ed elegante, sia in quello del soprano Juliana Grigoryan, artista emergente dalla comunicativa immediata e dalla ricchezza di accenti e nuances non comuni per una cantante così giovane, vocalmente raggiante nel salire a note acute di precisione strumentale e in grado di bucare il tessuto orchestrale.
Ovazioni per tutti alla fine dell'esecuzione, proseguite nel Muti-show fuori programma.
La recensione si riferisce al concerto del 20 dicembre 2022.
Fabrizio Moschini