Il libro di Martino Pinali Rossini a Verona, edito dalla Fondazione Rossini nel 2022 per la collana "Tesi Rossiniane", si configura da subito come valore aggiunto per la comunità accademica e scientifica. Il volume infatti è un fiore all'occhiello per la collana della Fondazione Rossini che, in collaborazione con la Fondazione Riz e Katyna Ortolani, ha istituito il premio Tesi rossiniane, conferito alle migliori tesi di laurea e dottorato di argomento rossiniano discusse nelle università e nei conservatori italiani e stranieri.
Pinali circoscrive il suo focus attentivo da una parte sulla ricezione e fruizione estetica, dall’altra sulla cronologia dettagliata delle opere rossiniane dal 1813 al 1900 nel capoluogo veneto. L'autore, nel cimentarsi in questa ardua impresa analitica ed inedita decide, per meglio orientare il lettore, di suddividere il lungo arco temporale preso in esame in quattro macro categorie: nella fattispecie gli anni 1813-1832 (anno del debutto di Rossini in Città con l’Inganno felice e della composizione delle due cantate ‘La santa alleanza’ e ‘Il vero omaggio’ per il Congresso su committenza del principe Metternich), una fase che si può definire aurorale e dominante del genio pesarese; gli anni 1833-1843, in cui si assiste ad uno sfrondamento complessivo del canone del repertorio rossiniano alla luce dei nuovi astri nascenti come Bellini e Donizetti, che assume curvature sempre più indirizzate su alcuni titoli preferenziali (Gazza Ladra, Cenerentola, Barbiere ed Otello in primis); gli anni 1844-1868, dove ad imperversare è il repertorio verdiano, con la relativa deflessione del numero delle opere rossiniane; gli anni 1869-1900, dove Rossini rimane in piedi attraverso una esecuzione proverbiale del Guglielmo Tell con un protagonista di eccezione come Francesco Tamagno, oltre a titoli inespugnabili quali il Barbiere (in primis), la Cenerentola e l’inatteso Torvaldo e Dorliska.
La fondatività e la attendibilità delle fonti esplorate da Pinali sono essenzialmente i libretti a stampa e la stampa periodica: quest'ultima in particolare riveste un ruolo centrale per la esatta ricostruzione cronologica delle rappresentazioni veronesi. L’opera di Pinali è un saggio storico-musicale accurato, scientificamente e filologicamente ineccepibile, dotato di impianto metodologico e chiarezza espositiva e argomentativa; ciò che però colpisce del testo è quella sua apertura sull’universale rossiniano e sulla sua capacità di illuminare, inferire, stimolare, seppur con una serrata presa induttiva, la costellazione concettuale dell’intero rossiniano.
Il lavoro di Pinali denota certosina e informata cronologia della parabola veronese di Rossini, una seria e documentata attenzione posta sull’ineluttabile declino o riassetto drastico del canone repertoristico a fronte delle 39 opere scritte dal pesarese, una focalizzazione sulla prassi ma senza l’impressione di essere in presenza di uno sfoggio di erudizione per specialisti o di un mero riduzionismo storicistico. Con questo testo siamo sospinti a riflettere sulla valenza idealistica del teatro rossiniano come ultima grande utopia metafisica costruita in musica che, seppur dotata di formulazione debole rispetto al concetto, ha però fronteggiato la sua temperie storica in maniera titanica; Rossini è stato e sarà sempre presente nel sottosuolo dell’occidente e della cultura e dello spirito del mondo musicale.
L’utopia rossiniana non può essere semplicisticamente ridotta ad una fase circoscritta della storia della musica; per la peculiare aspirazione veritativa del sistema rossiniano esso travalica gli stretti serrati di una ermeneutica diacronica e stadiale; attraverso la cartina di tornasole veronese noi siamo come indotti a cogliere, senza dubbio, dei tratti quintessenziali di tutta la parabola ricettiva (non solo veronese ma mondiale) del genio rossiniano, come ad esempio l’epilogo e il declino del belcanto degli anni 40 fino alla scomparsa della capacità di interpretazione della sua sintassi e della sua proposta estetica.
È proprio la natura universale della utopia rossiniana a non farci cadere nelle trappole di un mero oltrepassamento diacronico della sua musica, cosa che potrebbe a prima vista suggerire il saggio in questione. La storia della musica infatti sconfessa di fatto il superamento rossiniano con il '900, che risveglierà il gigante sopito rossiniano in tutte la pregnanza filologica e le mirabolanti rese prassiche di eccellenti virtuosi.
Spetterà infatti alla debolezza postmoderna astratta, surreale e ironica del sistema musicale rossiniano il compito di risvegliare il nostro cuore delle cogenti disillusioni post-totalitaristiche novecentesche e a colmare i nostri vuoti di senso rispetto ad un arte musicale che, abdicando alla sua missione redentiva e di salvezza profetica, ha smarrito la forza del suo ideale persa tra i meandri di un costruttivismo che non racconta più nulla di sé.
Attraverso il saggio di Pinali si ha l’impressione concreta che il particolare sia il massimamente astratto e che la vera forza impattante di questo saggio specialistico sia la sua aspirazione alla sintesi conciliativa del tutto rossiniano; tutte le problematiche affrontate tra cui le alterne ricezioni delle opere, le interpolazioni e le licenziosità eterodosse di molti titoli come La Donna del lago, L'Inganno felice, Barbiere, la scarnificazione del repertorio e l’assetto su alcuni titoli, il permanere del Guglielmo Tell nell’ultima fase tardiva ottocentesca, il ruolo e la funzione del teatro comico, ci aiutano a leggere il senso di tutto l’itinerario rossiniano attraverso il circoscritto pezzo di mondo e di tempo analizzato.
In questa luce Pinali ci aiuta a comprendere filosoficamente e cogliere l’eterno sotteso a questo tempo veronese rossiniano, che è come universale introdotto nelle spirali del divenire che lo ama, lo acclama, lo fa suo ma che si ritrae di fronte alla sua istanza; Verona di fronte alla narrazione rossiniana si comporta come tutti, condividendo il destino di un mondo che ha deciso di non riconoscere alcuna verità in musica come espressione di quello spirito assoluto seppur dolce e consolante e conciliativo quale il genio di Rossini, ora eclissatosi nel materialismo della passioni e degli ideali politici irrisolti.
Giovanni Botta