In 35 anni di frequentazione operistica ho assistito a rappresentazioni un po' ovunque, ma il mio luogo di elezione resta sempre il buon vecchio teatro all’italiana. Avevo sentito parlare, seppur saltuariamente, di "Musica a Palazzo", ma non avevo mai preso in considerazione l’idea di assistere a una delle loro produzioni. Ho deciso di farlo venerdì 14 febbraio, approfittando di una recita di Rigoletto.
Le rappresentazioni si svolgono a Palazzo Barbarigo Minotto, un affascinante palazzo rinascimentale affacciato sul Canal Grande. I tre atti si sviluppano in tre sale diverse, la prima delle quali è impreziosita da uno splendido affresco del Tiepolo. Se a Venezia non è raro imbattersi in simili meraviglie, sfido chiunque a dire di aver assistito a un’opera sotto un capolavoro di tale portata.
Il Rigoletto viene qui proposto senza coro, senza comprimari e senza orchestra, accompagnato soltanto da un pianoforte, un violino e un violoncello. Non nego che questi tre “senza” inizialmente mi lasciassero perplesso sulla riuscita dello spettacolo, ma la realtà ha superato ogni aspettativa: l’assenza di certi elementi tradizionali non ha affatto sminuito l’intensità dell’esperienza, anzi, l’ha amplificata.
L’atmosfera intima – data da saloni di circa 75 metri quadri, un pubblico ridotto (meno di cento spettatori) e la vicinanza estrema tra artisti e platea – si è rivelata un detonatore potentissimo di emozioni. I costumi molto curati e l’illuminazione quasi esclusivamente a candelabri hanno contribuito a creare un’ambientazione suggestiva e coinvolgente.
Sul piano musicale, il Duca era interpretato da Orfeo Zanetti che noi meneghini ricordiamo nei panni del Conte di Lerma nel Don Carlo con Pavarotti e come Vitellozzo nella Lucrezia Borgia, nella famosa produzione in cui Gelmetti svenne alla prima. Sicuro, spavaldo, con accenti perfetti da seduttore incallito è stata una sorpresa ritrovarlo in forma smagliante dopo cinque lustri: del resto, chi sa cantare, canta a lungo.
Gilda era Natalia Roman, un soprano di grande presenza scenica che ha scelto di rifuggire l’interpretazione adolescenziale del personaggio per delinearne una versione più consapevole. La natura è stata generosa con lei: ha una voce ricca e potente e sarei curioso di sentirla in uno spazio teatrale.
Nel ruolo del titolo, e vero mattatore della serata, Gabriele Nani. Forse la parte gli sta leggermente larga, ma sa sempre trovare gli accenti giusti e accompagna il canto con una recitazione avvincente. Indimenticabili la sua caduta quando viene respinto nel tentativo di entrare nella stanza del Duca - di forte impatto scenico - ed il La bemolle con il quale chiude la vendetta.
Funzionali nei rispettivi ruoli Julie Mellor come Maddalena/Giovanna ed il Monterone/Sparafucile di Alberto Bianchi. Devo ricordare la bravissima pianista Alexandra Bochkareva e gli altrettanto bravi Gialuca Stupia e Carlo Teodoro al violino e violoncello.
La regia era di Patrizia di Paolo.
Il pubblico - ho sentito parlare almeno sei idiomi diversi - ha reagito con grande entusiasmo tributando un successo caloroso con applausi ritmati al termine. All’intervallo è stato servito un ottimo prosecco in una sala affacciata sul Canal Grande: un dettaglio che ha reso l’esperienza ancora più speciale. Non nego che anche questo momento abbia contribuito a rendere lo spettacolo unico, innovativo e perfettamente riuscito.
Michele Beretta