Da circa dieci mesi Sebastian Schwarz è alla guida del Teatro Regio di Torino nel doppio ruolo di Sovrintendente e Direttore artistico. Pronto e disponibile al dialogo, lo abbiamo incontrato telefonicamente per un colloquio su alcuni aspetti della vita del teatro torinese.
Come sta vivendo questo drammatico momento di chiusura del teatro?
È angosciante vedere il teatro vuoto, senza le maestranze e senza il pubblico. Sul palco sono ancora montate le scene della nuova produzione della Bohème che riprende i bozzetti originali realizzati da Adolf Hohenstein per la prima assoluta del 1896 e custoditi dall’Archivio Ricordi. L’effetto è bellissimo e ho voluto riprogrammare lo spettacolo a Dicembre 2020. Senza voler minimizzare l’attuale tragedia sanitaria ed economica, penso che stiamo vivendo un periodo interessante, pieno di energia e caratterizzato da un uso finalmente intelligente delle tecnologie. L’altro giorno, ad esempio, ho partecipato ad un incontro virtuale con settanta direttori di teatri europei. Abbiamo potuto confrontarci rimanendo comodamente a casa nostra con risparmi economici, fisici e per il clima. Mi auguro che quando torneremo alla normalità manterremo quest’uso saggio degli strumenti tecnologici.
L’estate scorsa lei è arrivato alla guida del Regio in un periodo particolarmente turbolento, soprattutto per gli aspetti finanziari del teatro. Come vanno le cose ora?
La situazione era drammatica non unicamente per gli aspetti economici del teatro. Al mio arrivo ho infatti trovato un clima molto teso che arrivava anche al pubblico. Non dobbiamo mai dimenticare che i frequentatori dei nostri teatri vogliono divertirsi, sognare ed entrare in un mondo diverso dalla quotidianità. Il nostro compito principale è quello di fare in modo che tutto ciò possa avvenire. Per quanto riguarda le difficoltà economiche del Regio, devo precisare che i problemi scaturiscono indietro nel tempo. Se guardiamo ai contributi dei nostri partner pubblici (Comune, Regione e Ministero dello spettacolo) notiamo che nel periodo dal 2005 al 2018 la loro media era di 5,2 milioni in più rispetto al 2019. Se poi osserviamo, nello specifico, nel 2007 il teatro aveva 12,7 milioni in più rispetto al 2019. Nonostante i numeri non confortanti, se contiamo le recite notiamo che il Regio nel 2007 ne ha realizzate 91, mentre solo l’anno scorso ne abbiamo avute 123. A fronte di un calo sensibile delle risorse finanziarie, l’aumento di produttività è stato possibile grazie ad un utilizzo efficace delle nostre forze lavorative, tra l’altro numericamente invariate (la Fondazione ha poco più di trecentosettanta dipendenti), e ad un uso necessariamente sempre più ponderato delle nostre disponibilità.
Come pensa si dovrà intervenire nel prossimo futuro?
Quando l’emergenza sanitaria terminerà, riprendendo un celebre interrogativo di Churchill dovremo chiederci “per cosa combattiamo?”, cioè quale idea di teatro e di cultura vogliamo portare avanti. Insieme ai nostri partner, pubblici e privati, dobbiamo pensare al profilo del Regio e al suo indirizzo di sviluppo. Se desideriamo un teatro veramente internazionale dovremo poter competere con altre realtà e quindi poter contare su risorse adeguate. È inutile volere una Bentley se non ho le possibilità di acquistarla. Il Regio ha la straordinaria fortuna di poter contare su lavoratori che, per la maggior parte, sono sinceramente legati al teatro e questo è un aspetto che mi rende particolarmente orgoglioso del mio ruolo.
Molte cose dipendono naturalmente dalla politica….
Sì, certo. La politica, a differenza della cultura, dell’arte e dell’economia, non lascia dei patrimoni. Il ruolo dell’amministratore, ieri come oggi, è quello di stabilire come gestire un bene trasmesso a noi dal nostro passato. È alla classe politica che spetta la decisione se tenere in vita e sostenere una forma artistica così completa ma costosa come l’opera lirica oppure no. Ma tutto questo non è una novità se pensiamo al mecenatismo artistico e culturale di un tempo da parte di famiglie come i Gonzaga, i De Medici o gli Sforza.
Qual è la situazione dei sostenitori del Regio?
A Torino mi sono sorpreso della generosità di sponsor piccoli e del pubblico stesso: l’idea di donare al Regio i biglietti delle recite che quest’anno sono state annullate è partita proprio dagli spettatori. Si tratta di un gesto importante per noi e che testimonia l’affezione per il nostro teatro. Per quanto riguarda, invece, i grandi sponsor percepisco ancora una certa ritrosia nel farsi avanti. Forse alcuni di loro non mi conoscono ancora e ci vuol tempo per intessere delle relazioni di fiducia reciproca. Sono comunque ottimista perché sappiamo tutti che a Torino sono presenti numerosi imprenditori affermati a livello mondiale che da tempo sostengono altri settori della città. Penso dunque che sia necessario sviluppare anche a Torino come già accade ad esempio in Inghilterra una cultura del restituire: se una persona o un’azienda hanno avuto le capacità di affermarsi, è secondo me doveroso che riconoscano qualcosa al proprio territorio di appartenenza.
Come pensa di riuscire ad intessere i rapporti con gli sponsor?
Senza dubbio con un dialogo e un confronto continuo. Mi auguro di non essere percepito solo come uno scocciatore alla continua ricerca di risorse, ma piuttosto come l’ideatore di progetti interessanti e coinvolgenti. Ricordo quando anni fa al Festival di Glyndebourne, proprio grazie al sostegno economico di una facoltosa famiglia, riuscii a portare in scena Vanessa di Samuel Barber, un’opera certamente non popolare. In quell’occasione, fu fondamentale coinvolgere i miei generosi sostenitori nell’intero progetto portandoli alle prove e condividendo con loro e, su loro richiesta, anche con i loro figli, diversi momenti della realizzazione dello spettacolo. Alla fine furono tutti entusiasti e da allora numerosi privati si fecero avanti incuriositi delle mie proposte e pronti a contribuire anche a titoli non semplici.
Non si corre il rischio di un’eccessiva ingerenza degli sponsor nella programmazione artistica?
Non lo vedo come un rischio reale e bisogna, secondo me, essere molto determinati nel fare in modo che ciò non avvenga. Sempre a Glyndebourne, anni fa mi è successo di rifiutare un importante contributo da parte di un privato il quale desiderava realizzare La vedova allegra come omaggio alla propria consorte. Io però non vedevo bene nella programmazione del festival un’edizione dell’operetta e dialogando con questo sostenitore, sono riuscito a spostare il suo interesse su un titolo che entrambi abbiamo convenuto si adattasse allo spirito di quella stagione.
Quando saranno avviati i lavori di rimodernamento dell’impianto scenico del teatro per il quale lo scorso anno il Ministero dello spettacolo si era impegnato con un contributo significativo?
L’anno scorso il Ministero si era impegnato con un sostegno di 8,5 milioni di euro per alcuni interventi sugli impianti tecnici del palcoscenico che risalgono al 1973. I finanziamenti purtroppo non sono ancora arrivati e, alcune settimane fa, ho appreso da un giornalista che era stato pubblicato lo stanziamento del contributo sulla Gazzetta Ufficiale. Sono rimasto sorpreso nell’apprendere la notizia in modo indiretto e senza una comunicazione ufficiale. So che il Sindaco si sta muovendo a Roma per sollecitare un’indicazione dal parte del Ministero. Per quanto riguarda i lavori da eseguire, la cosa più semplice sarebbe quella di poter chiudere il teatro per un anno. Naturalmente bisognerebbe trovare spazi alternativi per gli spettacoli, ma in questo modo potremmo ottimizzare i costi e concentrare l’impegno di tutti lavorando senza interruzioni. Purtroppo ciò non sarà possibile e dovremo aprire e chiudere i cantieri più volte nei periodi estivi quando non sono programmate attività in teatro. La direzione tecnica ha predisposto un programma di lavoro che, non appena sarà possibile sarà avviato.
Dopo le dimissioni di Gianandrea Noseda sono in molti (pubblico e gli stessi professori d’orchestra) a lamentare l’assenza al Regio di un direttore musicale. Secondo lei è una figura indispensabile e, nel caso lo ritenga tale, quali sono secondo lei le caratteristiche che deve possedere?
Nella mia esperienza di teatro ho lavorato in realtà dove non vi era la figura di un direttore musicale e in altre nelle quali invece era presente. Quando ero alla guida del Theater an der Wien, dove non vi è una compagine stabile, predisponevo la programmazione delle stagioni scegliendo di volta in volta le orchestre e i propri direttori. In quel caso l’assenza di un referente musicale mi ha consentito di affrontare un repertorio ampio e variegato. Spesso, infatti, i direttori hanno le loro preferenze e specializzazioni e possono limitare la programmazione del teatro. A Glynderburne invece, dove c’era un direttore musicale, abbiamo condiviso la programmazione del festival. Penso che per una realtà come il Regio sia importante avere un direttore musicale, capace di garantire la personalità delle maestranze artistiche del teatro. Io stesso sento il bisogno di un confronto con un altro interlocutore per condividere idee e progetti. Un direttore musicale deve avere, però, delle caratteristiche ben precise e difficili da trovare. Innanzi tutto deve essere non solo un eccellente musicista, ma anche un intellettuale disposto e disponibile a immergersi totalmente nel teatro e nel repertorio lirico. Aspetto non secondario è il fatto che egli debba pensare alle possibilità tecniche ed economiche del Regio, amare il teatro e vivere in modo reale questa stupenda città che è Torino.
Lodovico Buscatti