Elena De Simone è un interessante mezzosoprano veneto che da qualche anno sta affiancando agli impegni artistici un’importante attività di ricerca storico-musicologica nel suo repertorio di elezione: il barocco.
Buongiorno Elena. Osservando il suo percorso artistico, ma soprattutto focalizzandomi su questi ultimi anni, mi sono fatto l’idea che viva la sua passione per la musica e il canto, nonché la professione, come una sorta di missione atta a portare nuova linfa a quello che, soprattutto in Italia, è un repertorio ancora di nicchia, ossia il barocco. La mia sensazione corrisponde a realtà?
Assolutamente si. Credo fermamente che la professione del cantante d’opera e più in genere dell’artista sia una missione. L’arte, da sempre espressione umana, serve non soltanto ad intrattenere o perfino ad emozionare, ma a farci comprendere la nostra natura più profonda, quella che alle volte va al di là dei pensieri e delle parole. In un mondo in cui tutto scorre veloce, rimane poco tempo per guardarsi interiormente. Proprio per tale motivo ritengo che oggi, ancor più di ieri, l’arte, soprattutto quella del passato, specchio di una società “più lenta” e perciò più incline alla riflessione, sia necessaria come medicina per l’animo umano. Ho scelto di dedicare la mia vita al canto, seguendo questa visione e ben presto ho deciso di svolgere un lavoro di ricerca per portare alla luce “brani del passato” che rischiavano di essere dimenticati. In tal senso mi sono dedicata ad un repertorio di nicchia, quello barocco, e sto avendo la fortuna di approfondire e scoprire aspetti di quella musica e di quel periodo storico (il XVIII secolo), sconosciuti ai più. Tra le scoperte per me più interessanti c’è stata quella dell’opera La Sofonisba di Maria Teresa Agnesi. La compositrice sceglie di dedicare proprio questo titolo, in cui la regina protagonista dell’opera muore, a Maria Teresa d’Austria nel momento più critico del regno, quando l’imperatrice non è ancora sicura di vedere riconosciuta la sua corona dagli altri regnanti europei, un’azione quasi incomprensibile vista in un’ottica moderna, ma che era dimostrazione di grande rispetto, fiducia e dedizione.
Secondo lei, quali sono le ragioni che hanno frenato in Italia una maggiore frequentazione dell’opera lirica barocca, sia da parte delle istituzioni, sia da parte degli appassionati? Sappiamo che in Francia, in questo ambito la situazione è sensibilmente diversa.
Non è facile rispondere a questa domanda, sicuramente ci sono diversi fattori in gioco e di diversa natura. Il pubblico degli appassionati in Italia è fortemente legato alla tradizione operistica ottocentesca, credo anche per ragioni affettive connesse a “ciò che veniva tramandato in famiglia” (ricordo per esempio mia nonna, la quale spesso mi raccontava del mio trisavolo che volle seguire il carro funebre di Vincenzo Bellini). Questa è una cosa bellissima, che tuttavia ormai si sta perdendo ed evidentemente lascia i suoi strascichi nei cartelloni dei Teatri italiani, che si vedono a riproporre spesso le stesse opere. Il pubblico più giovane, in verità, conosce poco qualsiasi tipo di repertorio e questo, a mio avviso, dovrebbe essere uno stimolo per proporre “nuove” opere, di diversi periodi storici. Credo che anche la musica barocca abbia moltissimo da comunicare. I francesi, forse per moda, forse per amore, l’hanno capito e spesso danno anche agli italiani la possibilità di esprimersi in questo repertorio che è nostro per tradizione e di cui, come italiani, siamo validi interpreti. Sono fiduciosa che questo verrà sempre più compreso anche in Italia.
Cosa l’ha portata a specializzarsi nel repertorio barocco?
Ho sempre amato la musica del Settecento. Al pianoforte suonavo ore e ore J. S. Bach, mentre sono rimasta folgorata dalle opere di W. A. Mozart. Al Conservatorio studiavo canto lirico e repertorio ottocentesco, ma, già all’epoca, cercavo arie di Händel, Vivaldi e altri autori coevi. Mi sento “chiamata” ad interpretare quel periodo, a volte alcune soluzioni mi vengono in mente quasi per istinto, altre volte mi pare di sentire “di nuovo” arie di fatto mai ascoltate prima.
Ci racconterebbe come nasce la sua passione per la ricerca e conseguentemente la sua collaborazione con la casa discografica TACTUS?
Ho creduto che fosse importante portare alla luce nuovi brani, non soltanto eseguire ciò che è già conosciuto. Questo per ampliare la nostra conoscenza del passato, per recuperare capolavori e conoscere meglio i compositori (di cui possiamo avere una visione parziale, se addirittura non sono sconosciuti). In questo percorso ho subito trovato grande appoggio e incoraggiamento nella casa discografica TACTUS, che ringrazio per aver creduto nel mio lavoro.
Qual è il lavoro di ricerca che l’ha portata a trovare e rispolverare le composizioni che sono andate in pubblicazione e che l’hanno vista protagonista?
Tutto è partito dai manoscritti conservati nelle varie biblioteche europee, dopo una ricerca ho cominciato a trascrivere ciò che mi sembrava più degno di nota e ho voluto che quella musica prendesse vita attraverso la registrazione e la creazione di Cd.
Sbaglio o sono tutte rappresentazioni assolute?
Si, sono tutte rappresentazioni assolute. Mi sono concentrata su brani mai ascoltati in tempi moderni, in un’ottica di ricerca e arricchimento della nostra cultura musicale.
Dal punto di vista discografico com’è il mercato per questo tipo di repertorio?
Si tratta certamente di un mercato di nicchia, ma ci sono molti appassionati sparsi in tutto il mondo, per cui sto avendo delle belle soddisfazioni. Ho avuto la fortuna di essere apprezzata in America, in Australia, in Giappone, e in Europa i miei Cd sono stati apprezzati soprattutto in Francia, in Spagna e in Inghilterra (un mio brano è stato trasmesso alla Radio BBC).
Tra l’altro la ricca selezione dell’opera La Sofonisba di Maria Teresa Agnesi contenuta nel CD di ultima pubblicazione, non ha potuto essere rappresentata in pubblico, in quanto nata in periodo di COVID e relativo lock down. È già riuscita a riprogrammare la rappresentazione live?
Purtroppo, no. Ho tentato diversi mesi fa, ma senza successo. Pare che quest’opera continui ad avere poca fortuna. Non fu rappresentata all’epoca e non riesce ancora ad essere rappresentata in tempi moderni.
Sta lavorando a qualche nuovo progetto?
Si, sto lavorando a qualche progetto in ambito discografico.
Cosa desidera per il suo futuro artistico?
Avrei tanti desideri, ma in questo periodo, per nulla semplice, direi che vorrei cantare (cosa purtroppo non così scontata).
Lei, oltre ad essere laureata in canto lirico al Conservatorio B. Marcello di Venezia e in pianoforte al Conservatorio G. Tartini di Trieste , è anche laureata in psicologia. Da psicologa, mi direbbe tre personaggi di altrettante opere che le piacerebbe far sdraiare sul suo lettino e psicoanalizzare?
Mi piacerebbe psicoanalizzare molti personaggi, ma dovendone scegliere tre, direi Don Giovanni, Carmen e Rigoletto.
Don Giovanni è un personaggio incredibilmente attuale, è la descrizione minuziosa del narcisista, figura di cui oggi abbonda la letteratura in ambito psicologico. Si tratta di una personalità priva di scrupoli, manipolatrice, molto seduttiva, priva di ideali e pronta al soddisfacimento immediato dei propri impulsi.
Anche Carmen richiama la personalità narcisistica, ha molti tratti in comune col Don Giovanni, è priva di scrupoli, seduttiva, manipolatrice, ma a differenza di Don Giovanni emerge un lato masochistico ed è più evidente il senso di colpa che porta la protagonista a farsi uccidere da un uomo che non è disposto a riconoscere la sua libertà. Detto in altre parole, Carmen cerca l’approvazione da parte di Don Josè (che forse le ricorda la figura paterna) ed in questo senso ne è intimamente legata, al punto da diventarne vittima. Questo non succede a Don Giovanni, che rimane durante tutta l’opera il carnefice.
Rigoletto incarna perfettamente “la ferita narcisistica”, ovvero quella condizione di estremo dolore da cui si forma e si cristallizza in seguito la personalità narcisistica. Nasce storpio ed in questo senso si sente defraudato rispetto a chiunque altro, cova rancore e invidia, non si fida di nessuno e cerca riscatto nella vendetta. Pur essendo un personaggio torbido, i suoi tratti vengono smussati dalla fede e dalla paura del fato, in una visione tipicamente ottocentesca, che rende Rigoletto estremamente più “umano” di Don Giovanni. Ha una prospettiva per il futuro, la figlia diletta, e non è un uomo senza Dio, questo lo porta ad agire secondo una certa logica di moralità, la vendetta, appunto, verso ciò che lui interpreta come un grave torto.
Ha qualche impegno in cui potremo vederla impegnata in palcoscenico?
Avrei in programma qualche concerto in Polonia, resto in attesa degli sviluppi della nuova situazione che ci si è presentata.
Danilo Boaretto