In occasione della trasferta in Romania per La bohème con Mihaela Marcu e Stefan Pop abbiamo incontrato Cristian Rudic, Sovrintendente dell’Opera Nazionale Rumena di Timişoara, persona di grande cultura, un passato da baritono di buona carriera e manager preparatissimo sia dal punto di vista musicale e artistico, sia sotto l’aspetto gestionale. Sarà lui uno dei principali attori coinvolti nell’organizzazione di Timişoara capitale europea della Cultura 2023.
Maestro Rudic, la sua carriera manageriale è iniziata in questo teatro?
Si, è iniziata qui. Ma devo dire che precedentemente, in questo teatro, mi sono occupato di tutto ciò che contribuisce alla produzione d’opera: addetto alle luci, responsabile di palcoscenico, drammaturgia e tanto altro, oltre al fatto che sono stato cantante.
In effetti lei nasce come cantante…
È stato un privilegio e al contempo una pazzia, debuttare a 23 anni come Enrico in Lucia di Lammermoor proprio qui all’Opera di Timişoara.
Giovanissimo…
Si, anche troppo, tanto è vero che subito dopo Lord Enrico Ashton aggiunsi papà Germont e tanti altri ruoli che non avrei dovuto cantare così giovane.
Evidentemente aveva una voce “facile” …
Si, una voce da baritono liricissimo, quasi bari-tenore. Una passione grandissima che di lì a poco mi portò a frequentare anche teatri all’estero, con l’agenzia Zeiter – che oggi non esiste più – che mi portò a cantare il ruolo del conte Homonay in Der Zigeunerbaron in un’autentica capitale dell’operetta qual è Baden a pochi chilometri da Vienna. Da lì iniziò un bel percorso che si concluse con Jago cantato al Bunka Kaikan di Tokyo. A Madrid cantai Olivier nel Capriccio di Strauss, a Vienna molta musica contemporanea, inoltre Klingsor nel Parsifal a Graz. Fra le altre cose ho interpretato Don Giovanni ed in generale molto Mozart, autore a cui mi sono sempre sentito molto legato. Poi, per l’avventatezza giovanile che mi ha portato ad abusare del mio strumento, ho avuto problemi di salute e ho dovuto abbandonare. Faccio fatica a raccontarlo perché soffro ripensando al momento in cui tutti i miei sogni svanirono.
Quanti anni ha cantato?
Ruoli d’opera, una ventina d’anni. Nel momento in cui entrai vocalmente in crisi venne in mio aiuto la persona che era seduta qui prima di me: Corneliu Murgu. Lui mi disse: “La tua vita è il palcoscenico. L’operetta la fai benissimo e sei perfetto”. Così ho fatto molta operetta, musical e mi sono cimentato come attore… mi mancava troppo il palcoscenico.
Devo dire che nella mia carriera ho imparato molto da bravi registi come John Cox, Christine Mielitz, David Holden
Per quale ragione si è avvicinato all’opera lirica? È una passione che le è stata tramandata in famiglia?
No. Tuttavia, vengo da una famiglia in cui si respirava grande passione per le materie umanistiche e per le lingue straniere. Sono di origini tedesche e rumene. Sono rumeno cattolico e la musica ho iniziato ad assorbirla sin da bambino, in chiesa: il luogo dove si suonava Beethoven, Mozart, Stradella. Casa mia era piena di libri dell’Iliade, dell’Odissea… ero immerso nella cultura da cui era impossibile scappare.
Come le scoccò la scintilla per l’opera?
Mio padre era violoncellista nell’Orchestra di Arad, la città dove sono nato, dove facevano solo sinfonica. Cantavo in chiesa quand’ero ancora una voce bianca ed alcune persone si complimentavano con me dicendomi che avevo una bella voce; ma all’epoca non era ancora il sogno della mia vita. Ascoltavo molta opera e molta musica sinfonica. Da questi ascolti nacque anche la mia passione per Mozart e Wagner che sono due autori più “sinfonici” dei vari Donizetti, Bellini, Verdi, Gluck, ecc.
Quindi è stata una cosa graduale che è cresciuta nel tempo.
Si, è cresciuta dentro di me parallelamente alla letteratura; non immaginavo che un giorno sarei diventato musicista. Ho studiato uno strumento come probabilmente accade in ogni famiglia che ha un pianoforte in casa, senza farlo con grandissima passione, tanto è vero che lo abbandonai e dopo il Liceo mi dedicai a matematica e fisica. Intanto la voce cresceva e dava da pensare che fossi un tenore wagneriano o un baritono acuto. Cantavo nel coro come tenore secondo e poi come baritono. Avevo gli acuti facilissimi e una certa predisposizione per il palcoscenico. Affrontai anche ruoli nel teatro di prosa. Questa mia particolare attitudine per la scena fu anche un po’ la mia condanna perché mi portò a debuttare ruoli d’opera impegnativi quando ero ancora troppo giovane. Cantai subito Onegin, Traviata e per l’esame di conservatorio debuttai, come accennavo prima, nel ruolo di Enrico in Lucia di Lammermoor.
Negli anni in cui muoveva i suoi primi passi, quali erano i suoi riferimenti fra i baritoni?
Ettore Bastianini, Nicolae Herlea – per il colore di voce e la bellezza degli acuti – e poi Piero Cappuccilli. Ma anche anche Leonard Warren. Ad ogni modo il mito assoluto era Bastianini con la sua vocalità inarrivabile.
Oggi che ormai non canto più penso di essere stato un tenore pigro.
E dopo aver cantato per oltre vent’anni la tua carriera è virata su ruoli manageriali sino ad arrivare alla sovrintendenza dell’Opera di Timişoara.
E questa è stata la seconda croce della mia vita. (sorride)
In che senso?
Perché è un lavoro che, se fatto con passione come lo intendo io, ti ruba tutto il tempo.
Quali sono i suoi obbiettivi per questo teatro? Come vorrebbe farlo crescere?
Ho assunto questo incarico e poco dopo è scoppiata la pandemia. Mi piacerebbe ragionare su quello che desidererei fare senza covid, in condizioni normali. Conosco questa realtà teatrale da quasi trent’anni, da quando a 23 anni vi debuttai come baritono. Prima di me nel ruolo di Direttore generale c’era Cornelio Murgu che prese le redini del teatro nel 2000 e per 17 anni lo fece crescere. Riprese tutto il repertorio italiano e cambiò un po’ la chiave estetica dopo il disastroso periodo del nazionalcomunismo di Chausescu. Murgu si trovò ad affrontare una difficilissima missione e riuscì a fare al teatro i primi importanti progressi.
Abbiamo una buona tradizione per le voci, l’orchestra e il coro mentre il balletto mancava. Ho affrontato questa prima pecca assumendo dei validi collaboratori per il balletto e messo in scena per la prima volta un balletto classico: La Bayadère. Lo abbiamo fatto con uno dei migliori scenografi che esistono in questo paese che è Dragoş Buhagiar ed ora è qui fisso nel mio teatro. Perché fra i miei obbiettivi c’è anche quello di rinnovare quello che si vede e non solo quello che si sente. Sappiamo che l’opera è la danza delle muse verso il dio Apollo e questa danza dev’essere in buon equilibrio: tutte le muse devono danzare. Per questo ho iniziato a lavorare su questi punti che sino al mio arrivo erano un po’ ignorati o morti. Riportare a Timişoara voci giovani e belle, possibilmente rumene, che hanno fatto la carriera in Italia, Germania, Austria come ad esempio Mihaela Marcu. Ho preso Paula Iancic, Cosmin Ifrim, Șernan Vasile che hanno già un’importante carriera internazionale. Giovani che spero possano un po’ muovere le mentalità locali. E poi ho portato qui anche un direttore d’orchestra - perché la scuola rumena è carente in questo tipo di specializzazione. Abbiamo avuto Davide Crescenzi che per più di dieci anni ha fatto un buon lavoro. Lui adesso è a Cluj ma tornerà ancora a dirigere qui.
Poi vorrei rinnovare un po’ anche il repertorio. Cornelio Murgu ha fatto molti titoli italiani, perché facevano parte del suo repertorio e della sua cultura; ha fatto benissimo perché l’80% di un teatro è fatto dal repertorio italiano. Ciò nonostante, ci manca una Lucia di Lammermoor e un buon Barbiere di Siviglia col sorriso del grande padre Rossini. In verità manca l’opera buffa nel suo complesso e manca un Mozart fatto bene. Manca la musica russa. Mi piacerebbe fare anche Wagner ma qui la buca è piccola e potremmo pensare solamente a Lohengrin e L’olandese volante. Murgu fece anche Turandot ma è una di quelle opere sovradimensionate per le dimensioni del nostro golfo mistico. Qui all’Opera di Timişoara i coristi sono 50 e l’orchestra è formata da circa 60 elementi. Inoltre, mi manca un buon marketing adeguato ai nostri tempi. Ad ogni modo, una cosa alla volta, sto affrontando e cercando di risolvere tutte le mancanze.
In Italia i teatri d’opera si dividono tra Fondazioni e Teatri di Tradizione. Come funziona in Romania?
In Romania abbiamo seguito il modello tedesco e austriaco del teatro di repertorio dove si fanno spettacoli praticamente tutto l’anno e non stagioni limitate ad un limitato periodo.
In Italia la magia dell’opera lirica nasceva nel 1500 a Firenze. A Timişoara, una città dove si parlava rumeno, ungherese, tedesco ed ebraico la tradizione dell’opera fonda le sue radici a circa centocinquant’anni fa.
Nel periodo del comunismo - che ci ha creato tanti problemi - l’opera in Romania ha vissuto un buon periodo anche perché le frontiere erano chiuse ed anche qui a Timişoara avevamo quarantacinque solisti fissi; un autentico lusso che consentiva di spingersi sino a Wagner e ai grandi autori russi. Fecero anche Boris Godunov e Onegin.
Ecco, Eugenio Onegin è un’opera di cui sento la mancanza.
La scuola di canto rumena discende da quella russa?
No, la scuola di canto rumena veniva dall’Italia e sotto il comunismo ha subito uno stop. In quel periodo è stata influenzata dalla scuola russa per poi riprendere i contatti con l’Italia dopo la caduta del regime. Ora la scuola è un po’ mista.
Altri obbiettivi per il “suo” Teatro?
Fra i miei obbiettivi vi è quello di portare a teatro il pubblico più giovane. Quello del ricambio generazionale credo sia un problema di tutti i teatri del mondo; qui forse lo è un po’ meno che altrove. Sento che riusciremo a staccare i giovani dal telefonino: questa è la grande battaglia. Per ora abbiamo iniziato a fare concerti per gli studenti ottenendo grande successo.
Fra i miei sogni c’è anche quello di traghettare il livello estetico nel ventunesimo secolo. Oggi si parla spesso di regia moderna o tradizionale. Per mio conto la suddivisione dovrebbe essere tra regia bella o brutta dove musica e voci devono rimanere l’ingranaggio fondamentale. Le voci devono essere bene emesse, non ingolate e soprattutto, insieme alla musica, non devono essere fagocitate dal discorso registico e scenografico. Si deve sempre tenere presente che è principalmente per la parola in musica che è nata quest’arte. Posso anche accettare che sia il regista, e non più il libretto, a raccontarmi la storia ma solamente se è fatto con intelligenza e buon gusto.
Nell’immediato, dopo la fase acuta della pandemia, l’obbiettivo principale rimane quello di sedurre il pubblico per convincerlo a tornare a teatro.
Durante la pandemia avete avuto un periodo di chiusura?
Si, abbiamo chiuso totalmente per tre mesi: marzo, aprile e maggio. Poi abbiamo ripreso ad ingressi contingentati e abbiamo fatto qualcosina con prudenza. Concerti con pianoforte, piccoli organici strumentali e senza coro: ad esempio una bellissima Serva padrona con la regia di Silviu Purcărete. Abbiamo cercato di fare il possibile per non perdere tutto il pubblico e, mi si perdoni, io non amo lo streaming perché senza la vicinanza del pubblico il teatro perde la sua anima.
I titoli annullati per la pandemia li abbiamo recuperati durante l’estate con spettacoli fatti all’aperto. Noi, come consuetudine consolidata da un po’ di anni, facciamo sempre circa sei spettacoli all’aperto durante l’estate. Anche se l’opera è una cosa intima e per gustarla appieno va assaporata in teatro.
Uno dei grossi problemi dei teatri italiani è che lo spettacolo d’opera, in generale, ha dei costi che superano di gran lunga il ricavato della biglietteria. Per questo sono necessari i finanziamenti dello Stato (in costante diminuzione) e possibilmente di sponsor privati. Come funziona in Romania?
Noi abbiamo la fortuna di avere il Ministero della Cultura che ci copre il 92% dei costi. Ci coprono tutti gli stipendi per dipendenti e artisti stabili. Ci rimangono un po’ meno soldi per gli artisti ospiti. Abbiamo un privilegio ma anche una grande responsabilità perché sono soldi dello Stato e l’importanza di avere un teatro in una città come questa riflette il livello culturale nella regione.
Quindi lo Stato riconosce l’importanza che un teatro d’opera riveste per la cultura?
Assolutamente sì, di questo non possiamo assolutamente lamentarci. I teatri d’opera di Bucarest, Cluj, Iasi e Timişoara sono direttamente sostenuti dal Ministero della Cultura.
Che opportunità verranno dalla nomina di Timisoara Capitale Europea della Cultura 2023?
Mi auguro sarà un’occasione per far sapere al mondo che anche a Timişoara abbiamo tanta arte e la cultura. Timişoara ha una storia interessante ma va valorizzata anche per rinfrescare le memorie.
Ha già in mente qualche titolo d’opera per i tanto attesi eventi del 2023?
Se ci saranno soldi mi piacerà fare una grande recita all’aperto, nella piazza del Duomo, per una Carmen che in tal caso beneficerebbe di una splendida e perfetta scenografia naturale. Carmen è un’opera di cui anche la “persona della strada” conosce almeno una melodia. Invece indoor avrei il sogno di fare tutta la trilogia Da Ponte. Sarebbe un bell’omaggio mozartiano anche in memoria del Flauto magico che, si narra, venne portato qui a Timişoara da una compagnia ambulante, nell’ultimo anno di vita del compositore.
Danilo Boaretto