Stephen Sondheim nato nel 1930 in una famiglia dell’upper class newyorchese, si avvicina al mondo del teatro musicale attraverso il suo mentore Oscar Hammerstein II, il lyricist (ossia colui che scrive i testi dei brani musicali ma non delle parti recitate) di Show Boat (1927) e che in sodalizio col compositore Richard Rodgers aveva tra gli anni 40 e i 50 rivoluzionato Broadway grazie a spettacoli quali Oklahoma!, South Pacific (che, vale la pena di ricordare, fu composto per Ezio Pinza), Carousel, The King and I, The Sound of Music (noto in Italia con l’insensato titolo di Tutti insieme appassionatamente).
Grazie al suo stretto contatto con il mondo teatrale di New York, Sondheim comincia la sua carriera partendo dai massimi livelli e già negli anni Cinquanta collabora con le più importanti personalità di Broadway, scrivendo le lyrics per show destinati a entrare nella storia quali West Side Story di Leonard Bernstein (quindi sì, quando canticchiate tra voi “I like to be in America, Ok by me in America” oppure “It’s alarming how charming I feel” sappiate che sono parole di Sondheim) e Gypsy di Jules Styne creato attorno alla personalità straordinaria e debordante di Ethel Merman (altra postilla per i profani del genere: Ethel Merman sta al musical come Maria Callas sta all’opera).
L’interesse per le lyrics rimarrà costante durante tutta la pluridecennale carriera di Sondheim che anche dopo il suo debutto come compositore si occuperà sempre personalmente della scrittura dei suoi testi, riuscendo a far procedere insieme musica e parole.
Il primo buon successo di Sondheim nella doppia veste di scrittore e compositore giunge nel 1962 con A funny thing happened on the way to the Forum, gradevole e innocua farsa di ispirazione plautina, che riscuote un certo plauso di pubblico e critica seppure si tratti ancora di un lavoro piuttosto tradizionale. A questo segue nel 1964 Anyone can whistle, ma è un clamoroso fiasco, soprattutto a causa della trama farraginosa; solo in tempi più recenti è stato ripreso e apprezzato, ma ha comunque avuto il non piccolo merito di far debuttare nel mondo del teatro musicale l’attrice Angela Lansbury, che d’ora in poi vi troverà la sua massima consacrazione.
Ma è nel 1970 che comincia a delinearsi la più autentica personalità artistica di Sondheim. Company è il titolo della svolta, uno sguardo amaro e disincantato sui rapporti di coppia nella caotica New York contemporanea: personaggi lontani da qualsivoglia bidimensionalità, ma anzi reali e tangibili nei loro difetti; una partitura calibratissima, di volta in volta vivace e trascinante oppure lirica e introspettiva, dalle sonorità metropolitane e dagli intricati contrappunti vocali.
D’ora in poi si susseguono i suoi titoli più celebri, caratterizzati da una continua sperimentazione e volontà di rinnovamento, a partire dagli stessi soggetti di partenza, quanto mai eterogenei. Sondheim non è un autore immediato, che lusinga il pubblico con melodie facili o di impatto immediato, preferisce sporcarsi le mani e provare nuove strade.
È doveroso citare almeno alcuni dei suoi titoli successivi, tra quelli più rappresentativi: Follies (1971) una scintillante e malinconica serata in cui le antiche starlette di uno spettacolo di varietà si ritrovano invecchiate a riflettere su come avrebbero voluto che fossero andate le loro vite, in un continuo gioco di specchi fra finzione e realtà, passato e presente nel testo come nella partitura, continuo rimando a un mondo trascorso, dai valzer alla Lehàr ai pastiche ispirati a Cole Porter o George Gershwin; A little night Music (1973) tratto dalla splendida commedia Sorrisi di una notte d’estate di Ingmar Bergman, di cui riesce a mantenere miracolosamente il garbo, il sottile umorismo e la vena malinconica, e da dove è tratta la canzone Send in the clowns che negli anni Settanta riuscì a diventare una vera e propria hit (per la cronaca: Bergman vide lo spettacolo e lo apprezzò tanto da proporre a Sondheim di collaborare a una versione cinematografica della Vedova allegra curandone la traduzione in inglese; purtroppo il progetto svanì per mancanza di finanziatori); Sweeney Todd (1979) attualmente il suo titolo più celebre a causa del film di Tim Burton che però snatura alquanto lo spirito dei personaggi, un grand guignol fatto di humor nerissimo, dall’orchestrazione densa di chiara ispirazione operistica e che infatti come tale sta trovando un suo posto nei cartelloni dei teatri d’opera; Into the Woods (1988) dove i personaggi del mondo delle fiabe, fin troppo umani, si ritrovano ad affrontare le conseguenze del loro agire, e se l’entrata della Strega ha un’impostazione quasi rap i brani più celebri sono di un delicatissimo lirismo; Passion (1994) morbosa storia d’amore e di follia grondante melodramma, tratta dal romanzo Fosca dello scapigliato italiano Iginio Ugo Tarchetti. Questi titoli sono solo una parte dell’opera di Sondheim, per tacere inoltre del suo lavoro di compositore per il cinema che lo ha portato anche all’Oscar; come se non bastasse corre voce che stia lavorando a un nuovo progetto oltre che a brani inediti da inserire nell’annunciata trasposizione cinematografica di Into the Woods, per cui è prevista nel ruolo della Strega nientemeno che Meryl Streep.
Daniele Galleni