C'era sempre il problema del treno. Voglio dire: per noi giovani (chi più, chi meno) melomani, tornare dopo uno spettacolo era spesso un'avventura. Sì, certo: chi aveva la macchina, grossi problemi non ne aveva. Anche se, ricordo benissimo che una volta ci mettemmo due ore per arrivare a Milano dal Municipale di Piacenza dopo un Nabucco, causa nebbia. Oggi la nebbia non c'è più (chissà perchè?, forse avranno spianato il Turchino, come suggerì un incauto partecipante a Portobello davanti ad un attonito Enzo Tortora), ma ancora negli anni 80 imperversava di notte su tutta la pianura padana. Transeat. Il concerto di Birgit Nilsson al Teatro Regio di Parma era molto atteso.
Siamo nel 1982 e per noi giovani era una occasione troppo ghiotta. Uno dei miti vocali degli anni passati si esibiva in un concerto wagneriano non troppo distante da casa e, soprattutto, con una durata che consentiva un comodo ritorno con il treno delle 23.20. E così, con l'amico Luca Gorla, ci rechiamo in Centrale e partiamo. Sul treno, un espresso puzzolente e di dubbia qualità, gli aneddoti sulla Nilsson fioccarono lievi e divertenti. Si diceva, ad esempio, che al Festspielhaus di Bayreuth, terminato o quasi il regno della Varnay, la Brünnhilde designata dovesse essere Gertrud Groß-Prandl, voce d'acciaio ma pastosa e morbida. Per chi non la conoscesse, consiglio l'ascolto del Ring diretto da Moralt, edito qualche anno fa dalla Myto. Bene, la scelta cadde invece sulla Nilsson che già era stata Sieglinde pochi anni prima. La Groß-Prandl ne fu talmente delusa da decidere di abbandonare la carriera. Ci immaginavamo la scena: "Ah sì?! Prendete quella svociata della Nilsson? Allora me ne vado, non mi vedrete mai più. Anzi, non mi sentirete mai più!!! La mia carriera si conclude qui." Il tutto, ovviamente, con accento da Sturmtruppen. E giù risate. Vero? Falso? Chissà, ma per citare un'opera che adoro, La dama di picche": "se non è vera, è ben trovata".
In ogni caso, arrivati a Parma la prima notizia fu che il pianista (mi pare dovesse essere Michele Campanella, ma vado a memoria e potrei sbagliare) era malato e non poteva suonare. Intendiamoci, il concerto era con orchestra e dirigeva con la sua bianca chioma Peter Maag. Ma, con il pianoforte, la Nilsson avrebbe dovuto cantare i Wesendonck-Lieder e quindi, tanti saluti: niente lieder. Poco male: il programma era comunque ricco: il sogno di Elsa dal Lohengrin, Dich teure Halle dal Tannhauser ed infine Il preludio e morte di Isotta dal Tristano. Acclamatissima, come bis concesse di nuovo l'entrata di Elizabeth dal Tannhauser.
Che dire: il teatro era gremito ed eravamo situati in palco di proscenio, la stampa era dirottata lì. Ma c'era un inconveniente: il palco di proscenio era dietro la Nilsson in quanto avevano giustamente coperto la buca per consentire all'orchestra di suonare sul palco. Per cui noi, della Nilsson, vedevamo la nuca ed il suono era per così dire più da immaginare che da gustare.
L'amico Federico Rota, che vide il concerto dalla sala, successivamente mi parlò di fluvialità e torrenzialità di voce. Io e Luca, però, la percepimmo solo a tratti. Quello che colpiva maggiormente era il colore adamantino e glaciale e, soprattutto, lo squillo che le permetteva di passare l'orchestra senza soverchi problemi. Certo, qualche suono qua e là che pareva un po' troppo fisso ad orecchie italiane ma, poffarbacco, che voce...note acute e gravi della stessa intensità, legato impeccabile, tecnica saldissima. Colpiva , in particolare, l'estrema sicurezza del suo canto. Tutto era perfetto e bilanciato.
Ricordo una sua intervista di oltre trent'anni fa in cui raccontava di aver trovato l'emissione giusta (e di conseguenza la propria autentica vocalità) un pomeriggio prima di una recita. Aveva l'influenza e non riusciva a cantare. Prova e riprova, infine riuscì a sconfiggere il malefico virus e trovare dei suoni che avevano facilità, volume e squillo. Non abbandonò più, a suo dire, quell'emissione.
In seguito ascoltai altre interpreti che praticavano l'atletica pesante del canto. La Dimitrova, ad esempio, aveva voce certamente più scura così come la Marton, Gwyneth Jones aveva una carica interpretativa che la Nilsson non mostrava mai.
Insomma: una voce che bastava a sè stessa e non aveva bisogno di cercare chiaroscuri per riuscire credibile e sfido chiunque ad individuarne i punti deboli. Semplicemente non ne aveva. D'altra parte, nel suo repertorio, chi poteva impensierirla nei suoi anni d'oro? E conoscendola dal disco con le sue Turandot in studio o live, le sue Brünnhilde e le sue Isolde, il suo Oberon e, magari, anche il suo Macbeth o la sua discussa Tosca, si poteva ben immaginare che pure in teatro le sue doti fossero queste. Fu il concerto più breve di tutti i tempi. In totale non più di 40 minuti di musica, compresi intervallo, brani orchestrali wagneriani e bis.
Maag diresse da par suo con un'orchestra che certo non era la Filarmonica di Berlino, ma si difese dignitosamente, forse galvanizzata dal poter accompagnare un'artista di questa levatura. La Nilsson ricevette non so più quanti mazzi di rose.
Un nostro amico più anziano di noi, Paco, che era venuto per rivederla dopo tanto tempo, la aspettò fuori dal teatro per omaggiarla di una singola rosa rossa. La Nilsson, glaciale e gelida come in scena, gli disse in tono imperioso: "Crazie" e, messasi la rosa sotto l'ascella (chissà le spine) si avviò verso l'Hotel senza degnarci di uno sguardo. Eppure era una donna molto simpatica e divertente, come testimoniano le numerose interviste televisive ed un inaspettato bis effettuato alla Carnegie Hall alla fine degli anni 60 ed immortalato in CD dall'etichetta Melodram: dopo un concerto teutonico serissimo, osò cantare "I could have danced all night" da My Fair Lady. Inutile dire che venne giù il teatro, novantadue minuti di applausi, come Fantozzi con la corrazzata Potemkin.
In ogni caso era molto presto ed avevamo un paio d'ore prima di dover riprendere il treno. Una macchina e...via: verso Rivarolo, dove l'osteria "da Guido" detto lo sporcaccione, ci attendeva con i suoi salumi sublimi ed un lambruschino effervescente che andava giù che era un piacere. E qui, tra una fetta di coppa ed un tocco di parmigiano, si ricominciò. "Eh, ma la Flagstad..." "Sì, ma la Varnay, dove la metti?" "Ma volete mettere con la Groß-Prandl?". Inutile aggiungere che perdemmo il treno...
Carlo Curami
"Liebestod" - Tristan und Isolde di Richard Wagner