Tremava, povera Lucia. Le mani avevano un tremito ossessivo e continuo che era impossibile non notare persino dalla première loge del Théâtre du Châtelet a Parigi. La donna del lago, per mio conto il vero capolavoro di Rossini, era in forma di concerto ed il cast aveva richiamato frotte di appassionati belcantisti dai più svariati angoli del mondo: Lella Cuberli allora al suo apogeo, nei panni di Elena, Lucia Valentini-Terrani come Malcolm, Harry Dworchak come Douglas e, soprattutto, i due tenori del momento: Rockwell Blake come Giacomo e Chris Merritt come Rodrigo di Dhu. Sul podio Henry Lewis, l'ex marito della Horne, specialista del repertorio italiano primo ottocentesco e, purtroppo, prematuramente scomparso pochi anni dopo. Siamo nel 1986 a Parigi e posso giurare di non aver mai assistito ad un'opera di Rossini più esaltante di questa. Però io ricordo soprattutto il tremore non nascosto delle mani della Valentini. Forse cominciò in questo periodo la crisi nervosa che lo stesso anno la portò a dare forfait nella attesissima Carmen al San Carlo con la regia di Lina Wertmüller. Chissà... Se non ricordo male, ascoltai la Valentini per la prima volta nel Boris alla Scala nel 1979, spettacolo di cui parlerò prossimamente. Non posso giudicare come fosse il suo russo, ma la voce morbida e vellutata ne facevano di certo una delle attrattive di quelle recite. La sua Marina era giustamente turbata ed esitante nella scena con Rangoni (l'italianissimo conte Claudio Rangoni da Modena, nunzio apostolico in Polonia), mentre risultava volitiva ed imperiosa nel duetto con il falso Dimitri. Vennero poi, in ordine sparso, la Semiramide a Torino (vista, però, in TV), il Tancredi e La donna del lago a Pesaro con la Ricciarelli, la Mignon a Firenze con Siepi e la Serra diretti dall'immenso Prêtre, L'italiana in Algeri alla Scala con Montarsolo e Desderi che si alternavano come Mustafà con la regia di quel genio di Ponnelle, Il viaggio a Reims a Pesaro con un cast ineguagliato e la regia di Ronconi con Abbado sul podio, produzione poi portata in tutto il mondo, il Maometto II sempre a Pesaro con Ramey, varie Messe da Requiem di Verdi in giro per l'Europa (la migliore nella Chiesa di Santo Stefano a Milano con Abbado sul podio, Verrett, Carreras e Nesterenko) e tanto altro tra recitals e cantate (Alexander Nevskij di Prokofiev).
E, poi Werther: a Firenze con Kraus e Prêtre, evocativa produzione di Samaritani che vidi anche a Parigi (i soliti supponenti francesi titolarono su Le figaro "derrière l'astre, le désastre" alludendo a Kraus, ovvero la star, ed il resto dello spettacolo che, a loro dire, rasentava la catastrofe) ed a Torino. Quest'ultima era una recita pomeridiana e la sera prima c'era stato il tonfo di Pavarotti alla Scala in Tosca. Decidemmo (il solito gruppo di melomani allora giovani) di andarci dopo aver fatto le ore piccole nell'unico ristorante aperto per il dopo spettacolo. Può sembrare strano, ma allora era così: alle 10 di sera Milano si trasformava in Die tote Stadt, la città morta. Poche ore di sonno e poi, via con il treno per il Regio di Torino. Ricordo nitidamente che occupammo un intero scompartimento ed ascoltammo la Tosca con la Maria e Pippo live di Città del Messico del 1952. Essere in gruppo fa sempre un certo effetto: arrivati al bis di "E lucean le stelle" avevamo tutti i lucciconi, beata gioventù...
In ogni caso, a differenza di oggi, a teatro con i posti in piedi si entrava tutti, ma proprio tutti. Ci piazzammo attaccati al muro dell'immensa platea ma, abituati all'algido ed aristocratico Kraus, l'appassionato e sanguigno Werther di Carreras non convinse: commento del povero Natale Galvani che era con noi: "ma con un Werther così, il suicidio è impensabile: ci si aspetterebbe che prendesse a pisolettate Albert (il sempre ottimo Lorenzo Saccomani) e fuggisse con Charlotte alle Bahamas dopo l'omicidio". Commenti da loggione, certo. Però quanta verità.
La Valentini fu ottima, benché il suo francese non fosse proprio da manuale. Tra gli appassionati era soprannominata "l'orco" non per una questione di carattere (era persona fondamentalmente timida e semplice) ma per una certa qual tendenza a trovare risonanze faringee e cavernose nelle note gravi e, cantando, a fare smorfie ed occhiatacce a volte molto pittoresche. Circolava voce che, avendo saputo che alla Horne a Pesaro avevano offerto tredici milioni delle vecchie lire lei ne avesse pretesi quindici, ritenendosi superiore, ma forse erano solo dicerie. Io l'amavo particolarmente nei ruoli en travesti, dove poteva sfogare appieno la propria indole con una agilità stupenda e voce malinconica e vellutata. Ero presente anche al suo ultimo Tancredi al Palafestival a Pesaro nel 1992. Il portamento nobile dava veramente l'idea di un eroe predestinato e dolente. E che importa se i fiati erano più corti e la voce non aveva quella rotondità cui ci aveva abituati. Fu fantastica e basta. Talora si appartava dietro le quinte durante i duetti con Amenaide. Per bere, disse qualcuno. Per vomitare, dissero altri. Forse era già malata, chissà.
Certo è che la notizia della sua morte ci colpì tutti. Ero a casa della discografica Giovanna Nocetti che era sua amica e che aveva pubblicato il suo ultimo CD. Non scoppiò in un pianto dirotto solo perchè trattenne le lacrime allo spasimo.
Una carriera fantastica, quella della Valentini-Terrani, costellata da numerosissime registrazioni in CD (una su tutte: La Cenerentola per la Cetra diretta da Gabriele Ferro) e DVD.
Ma io non riesco a scordare le convulsioni delle sue bianche mani in quella fantastica Donna del lago parigina...
Carlo Curami
Lucia Valentini Terrani - Mura felici...Oh quante lacrime - "La donna del lago" (Paris, 1986)