FIORENZA COSSOTTO (Crescentino, 22 aprile 1935)
Il segno sul braccio sinistro mi restò per qualche tempo. Siamo nelle celeberrime Ville Napoleoniche a Varese nel 1997 e l’ospite d’onore della serata è Fiorenza Cossotto.
Di lei, tra gli appassionati, si dicevano peste e corna. Gli aneddoti, veri o falsi, mettevano sempre in luce il suo carattere pessimo e le sue cattiverie nei confronti dei colleghi: quella volta che lasciò la povera Souliotis sotto la pioggia a Tokyo o quando fece uno sgambetto alla Gencer in Aida a Verona (per inciso, si diceva che la Gencer non fosse caduta ma avesse perso una scarpa), le angherie cui sottoponeva suo marito, il povero Ivo Vinco, ridotto ormai al ruolo di portaborse e tassista privato della moglie ed ancora le liti con tutti i tenori con cui avesse cantato. Di una fui testimone: Aida a Verona con Bonisolli e McNeil mi pare nel 1987. Si sa com’era Bonisolli: come di consueto, appena poteva piazzava un sopracuto fuori ordinanza e così fece anche nel duetto con Amneris. La Cossotto si vendicò vocalizzando con voce enorme (si sentiva solo lei) durante tutto il duetto finale a partire da “La fatal pietra” in avanti sino alla sua entrata in scena. Nell’ambiente l’avevano soprannominata Fioronza...i motivi mi paiono palesi.
Torno almio braccio sinistro. In quel concerto io ero uno dei giovani artisti in erba piazzati a fare da contorno alla diva. All’epoca tentavo la strada tenorile e, tra le altre cose, dovevo cantare il duetto dal Trovatore con lei. Attacco con il consueto “Non son tuo figlio? E chi son io? Chi dunque” e la Cossotto con una valanga di suono, gli occhi strabuzzati da Maga Magò e le unghie affilate, mi pianta gli artigli sul suddetto arto e prorompe con un: “Tu sei mio figlio!” da pelle d’oca. L’enfasi era perfetta ma il braccio cominciò a farmi male ed il dolore durò qualche tempo. Però fu salutare: capii che con con i divi (e le dive)
della generazione precedentemente alla mia non si deve mai esagerare. E capii, soprattutto, che la protagonista dell’esibizione era lei.
La rincontrai pochi anni dopo in Germania per una serie di concerti organizzati da Michael Tietz, un ex ballerino dotato di scalcagnata voce tenorile che calcava le scene con il nome d’arte di Michele Tiziano.
Fortunatamente non avevo duetti con lei che riuscì comunque a litigare con Aldo Filistad.
Prudentemente, in ogni caso, durante “O sole mio” che cantavamo tutti insieme, mi tenni distante e con le braccia rigorosamente dietro la schiena... Eppure, spente le luci della ribalta, fuori scena era una persona dimessa, quasi timida. Insomma, forse l’atteggiamento da tigre era legato solo al palcoscenico. La ricordo al ristorante, con l’immancabile segretaria, lontanissima dall’allegria che pervadeva il resto dei cantanti.
Quasi triste mangiava pochissimo spilluzzicando qua e là i piatti che ci venivano presentati. Ricordo di aver pensato che forse la cucina tedesca non facesse per lei. L’unico vezzo era l'esibizione quasi estemporanea dei suoi gioielli che, fintamente, faceva cadere sul tavolo. Se non ricordo male la prima volta che la ascoltai fu nel Trovatore scaligero del 77. Fu, come quasi sempre, la trionfatrice della serata. Insieme a lei uno spento Milnes, un Ermanno Mauro che non piaque e la Marton decisamente fuori parte. Il pubblico le riservò ovazioni interminabili. E, aggiungo, ben a ragione. Poi le mille Aide e le immancabili Azucene in ogni dove...Adalgisa a Macerata con la Caballé e Giacomini (con Del Monaco il miglior Pollione di sempre), Santuzza in Scala, Ulrica a Piacenza e tanto altro.
Voglio però ricordarla in due produzioni che mi sono molto care: il Samson et Dalila ancora a Piacenza in cui fu sublime e battagliò per voce, personalità e talento interpretativo con Carlo Cossutta, un tenore che andrebbe maggiormente ricordato. E, soprattutto, il Werther al vecchio Teatro Margherita a Genova. Alberto Cupido era il protagonista e fu eccezionale: la voce bellissima, di puro timbro di tenore lirico e l’interpretazione incredibile per talento ed espressività. Ero in palco di proscenio e, dall’alto, vedevo una Cossotto già in là con gli anni. Nei panni di una fanciulla come Charlotte, timida e remissiva, non poteva essere credibile eppure... eppure ricordo benissimo i brividi di emozione che riusciva a suscitare in “Ils demandent souvent d’un ton inconsolable pourquoi les homme noirs ont emporté Maman” nel Clair de lune e, soprattutto, in “Va, laisse couler mes larmes". Fu un trionfo, inutile dirlo. D’altra parte, che la Cossotto vivesse intensamente i ruoli che interpretava in palcoscenico era evidente a chiunque ed era impossibile non ammirarla per questo. Inoltre, aveva una qualità che ho riscontrato pochissime volte a teatro, forse solo in Kraus e Christoff. Quando era in scena lei, il resto spariva. Era come se la sua personalità dirompente ed elettrica impedisse agli altri, agli “umani” di emergere. E, badate, non parlo né della voce, né delle capacità attoriali. Carisma? Magneticità? Chi può dirlo.
Ampia ed importante la sua discografia: l’immancabile Azucena prima con Bergonzi, la Stella e Bastianini e poi con Domigo, la Price e Milnes (meglio questa edizione), l’Aida con la Caballé e Muti, lo stupendo Macbeth ancora con Muti e Milnes, una sfortunata Forza del destino diretta da Levine con un cast svogliato, un Ballo in maschera diretto da Muti, la bella Favorita con Pavarotti, la perfida Zia Principessa in disco con la miglior Katia Ricciarelli di sempre, due Norme: con Del Monaco e la Suliotis la prima e con Domingo e la Caballé la seconda (meglio questa); la Cavalleria con Karajan, il Rigoletto con Kubelik, il Don Carlo con Santini e molto, molto altro. Interessanti ma non sempre interamente soddisfacenti le digressioni
in ambito belcantista dal Tancredi con la Cuberli al Giorno di regno diretto da Gardelli.
Parecchie anche le registrazioni in video tra le quali segnalo la splendida Bouillon nell’Adriana Lecouvreur del 1989 ad onta di un registro acuto depauperato.
Insomma, una diva quasi introversa fuori dal palcoscenico dove, per contro, brillava per aggressività e smania di primeggiare.
In definitiva, nel suo repertorio, il maggior mezzosoprano della seconda metà del XX secolo. Senza se e senza ma.
Carlo Curami
Fiorenza Cossotto (Amneris) Aida: scena del giudizio
Arena di Verona, 1981 - direttore Anton Guadagno