Carlos Kleiber (Berlino, 3 luglio 1930 – Konjšica, 13 luglio 2004)
Che fosse un po’ stravagante si sapeva da sempre. Si dice che alla prima prova d’orchestra di quella Bohème mitica del 1979 con la regia di Zeffirelli, arrivato sul podio disse: “L’avete già suonata, vero?” “Certo Maestro, con Prêtre”, rispose il primo violino con gli altri orchestrali che annuivano con un sorrisetto. “Bene, allora ci vediamo direttamente all’italiana”. Sgomento dell’orchestra ma anche sollievo per il tempo libero guadagnato. Sembrava fosse una boutade ed invece ne uscì la più straordinaria Bohème di sempre. L’orchestra danzava eterea sulla filigrana prevista da Puccini e tutti i cantanti, ad eccezione del monotono Nesterenko, diedero il meglio di sè. Credo di non aver mai sentito cantare così bene Pavarotti ed in modo così intimamente espressivo la Cotrubas. Per non parlare della Popp che fece una Musetta da antologia o di Cappuccilli. Ed anche lo Schaunard di Giorgio Giorgetti ed i ruoli di contorno furono eccellenti. Ne vidi tre recite, una migliore dell’altra (oltre alla ripresa di due anni dopo che segnava il ritorno della Mimì della Freni con un eccellente Garaventa, un tenore di cui riparlerò). Ed il pubblico era così entusiasta alla fine, da non voler lasciare i cantanti ed il direttore liberi di tornare alle proprie dimore.
Ah già, il direttore. Trasportato dalla nostalgia, quasi mi dimenticavo di nominarlo. Ovviamente, molti l’avranno già capito, si tratta di Carlos Kleiber. Lo ascoltai a teatro la prima volta nel famoso Otello del 1976 alla Scala. Vidi le repliche, ma la prima me la godetti in televisione, quando ancora la RAI faceva cultura e non ospitava le indegne gazzarre dei nostri giorni. Sì, oggi c’è RAI 5 che un po’ di cultura la fa ma i filmati trasmessi non sempre sono di buona qualità artistica e visiva. Quanto all’audio, il discorso sarebbe troppo lungo e, forse, ne parlerò in altro articolo.
Tornando a quell’Otello: immaginate il cast. Domingo, la Freni e Cappuccilli, d’accordo. E poi Ciannella come Cassio, Raffanti come Rodrigo, Roni come Lodovico ed Orazio Mori come Montano. E non dimentichiamoci di Jone Jori che fu un’ottima Emilia e che, scomparsa da qualche anno, era donna simpaticissima e spiritosa. Ho duettato con lei in Germania e la ricordo davvero con grande affetto.
In quelle recite Kleiber cantava, accennando, insieme agli artisti e la televisione (fu il primo “Sant’Ambreus” ad essere trasmesso in mondovisione) immortalava questo suo modo innovativo di accompagnare chi si esibiva sul palco. Immortalò, purtroppo, anche le ignobili contestazioni che i soliti quattro gatti malati di egocentrismo e bisognosi di farsi notare, gli rivolsero all’inizio del secondo e quarto atto. Gli scalmanati ebbero, per dirla con Warhol, i loro 5 minuti di gloria e poi furono inghiottiti dal tempo. Il mito di Carlos Kleiber, dura ancor’oggi.
In ogni caso, negli anni, ascoltai tutti i suoi Otello in Scala fino a quello del centenario dell’opera nel 1987. Quello in cui Bruson doveva sostituire Cappuccilli. Vidi la prova generale ed un amico del coro poi mi raccontò quanto successo. Nell’intervallo, dopo due atti che erano andati abbastanza bene, Kleiber si precipitò in palcoscenico e si scagliò su Bruson con epiteti veramente irripetibili. La prova continuò fino al termine dell’opera e, devo dire ad onor del vero, Bruson non se la cavò affatto male. In ogni caso se ne andò ed alla prima tornò Cappuccilli.
Alla Scala ascoltai Kleiber ancora nel 1978 in Tristan und Isolde. Ma qui apro una parentesi: gli appassionati, all’epoca, andavano sempre a tutte le prove generali, non solo alle recite. In effetti anche quelle prove erano recite a tutto tondo ed i cantanti cantavano in voce, forse per timore che, magari, qualche corista maligno potesse, appunto… malignare. Quindi ci si dava appuntamento mezz’ora prima dell’inizio nella portineria in via Filodrammatici e si chiedevano i biglietti ai parenti dei dipendenti della Scala cui la prova era destinata. Frase d’obbligo: “Scusi, ce l’ha, per caso, un biglietto in più”. Io sono sempre entrato così. In ogni caso, la generale di quel Tristan era assolutamente chiusa e non c’era la minima possibilità di assistervi. Rassegnato a non vederlo ed impossibilitato ad esser presente alle successive recite per impegni pregressi, già mi preparavo ad una serata il cui piatto forte sarebbe stato I due maghi del pallone con Franco e Ciccio. Squilla il telefono ed all’altro capo del filo c’è l’amico e compagno d’arme (frequentavamo entrambi la sala Mangiarotti, una delle maggiori scuole di scherma del mondo) Giulio Artom, spadista, melomane incallito e loggionista doc. “Ho due biglietti per stasera, ti va di venire?” Il tempo di infilarmi il cappotto ed ero già per strada.
Fu uno spettacolo a dir poco strano. In tutta la Scala c’eravamo solo io, Giulio e le maschere che, dopo aver visto i primi due atti in loggione, ci invitarono a seguire l’ultimo in platea per poter sgattaiolare alla chetichella a casa. Ricordo la trama orchestrale sottilissima ed eterea ma passionale ed, a tratti, veemente ed un Preludio del terzo atto di una malinconia lunare ed allucinata. Dei cantanti si taccia, ad eccezione del nobile e misurato Kurt Moll come Re Marke e del fantastico Pastore di Piero de Palma, un grande di cui parlerò in altra sede. Gli altri, chi più chi meno, erano cantanti teutonici da Zweite Bundesliga, avvezzi ai berci nibelungici. Spettacolo gradevole di Wolfgang Wagner ma nulla di più.
Successivamente venne la Bohème di cui parlavo all’inizio e devo all’amico Luca Gorla il seguente aneddoto. Intervistato da non so quale rivista Kleiber asserì che, nella discografia di Bohème, riteneva che il miglior direttore fosse Umberto Berrettoni. Sì, avete letto bene, non è un refuso. Cioè in una discografia che, fino a quel momento, comprendeva, cito a caso, Toscanini, Beecham, Karajan e Solti, Carlos Kleiber prediligeva quella registrazione arcaica con Gigli, la Albanese ed Afro Poli. E la prediligeva non per la qualità dei cantanti, come ciascuno di noi sosterrebbe, ma per la direzione di quello che, all’epoca, era considerato un mestierante o poco più. Anche qui: boutade o provocazione? Mistero.
D’altra parte, le bizzarrie sono anche facilmente spiegabili: nato a Berlino, trasferito giovanissimo in Argentina dove il padre Erich, uno dei giganti del podio del 900, si rifugiò dopo l’avvento di Hitler nel 1933. Osteggiato negli studi musicali dallo stesso padre, girovagò per il mondo fino ad ottenere solo nel 1980 la cittadinanza austriaca.
Aveva la tendenza a limitare il proprio repertorio proprio per studiarlo ed approfondirlo maggiormente. Ammirato da tutto il mondo musicale e considerato da alcuni il più grande direttore d’orchestra di sempre, si dice che negli ultimi anni dirigesse solo quando venivano a mancare i fondi, ritirandosi sempre più spesso nel suo castello a rimuginare partiture già dirette mille e mille volte. Non pletorica, ma eccelsa la sua discografia.
Difficile scegliere, ma io prediligo in disco il suo Freischutz per DGG ed in video il suo Fledermaus da Monaco di Baviera, immenso spettacolo con la regia di Otto Schenk.
Consiglio anche la visione su youtube di alcune sessioni di prove: proprio il Fledermaus su tutte.
Sgomento quando, improvvisamente, morì. E l’impressione, non ancora svanita, che il mondo avesse perso qualcosa di non più ripetibile.
Carlo Curami