Alain Vanzo (2 aprile 1928 - 27 gennaio 2002)
Era il 1982 e, giovani melomani, con l'amico Luca Gorla avevamo deciso di andare a vedere il Roméo et Juliette di Gounod con Alain Vanzo, Christine Barbaux e Roger Soyer all'Opéra di Nizza. Partiti da Milano all'alba, raccattiamo un assonnato Marco Ciappino a Genova e, sulla linea ferroviaria peggiore del Nord Italia, ci accingiamo al viaggio della speranza. Certo, paesaggi stupendi... ma che lentezza. Occupato lo scompartimento, andiamo di mangiacassette. Ovviamente si ascolta proprio il Roméo, con particolare riguardo a quello di Corelli, ma anche altri live che, all'epoca, collezionavamo. Il migliore, quanto meno in "Ah! Lève-toi, soleil", mi parve John Sandor, un tenore statunitense all'epoca in ascesa ma di cui oggi non ci si ricorda più. Mi piacerebbe riascoltare ora quella registrazione, giusto per curiosità. Arrivati a Nizza, scena decisamente fantozziana: causa tragico qui pro quo linguistico per l'acquisto del biglietto di ritorno, Marco Ciappino rischiò di andare a Ginevra (Genève) piuttosto che a Genova (Gênes). Comunque arriviamo in teatro ed anche qui altra scena fantozziana: una gentile vecchietta addetta ai palchetti ci accompagna ai nostri posti e lì si ferma ad attendere il "pour boire", ovvero la mancia. Non sapendo che in Francia è obbligatoria, quanto meno per convenzione, rifiutiamo categoricamente di versare l'obolo che ai nostri occhi appariva un autentico furto. In particolare, Marco da buon ligure non vuole sganciare le palanche neppure sotto minaccia. Non ricordo esattamente come andò a finire ma l'opera cominciò. Il pubblico di Nizza, in Francia, è considerato un po' come quello di Parma: pseudo esperti con la contestazione facile. E così, in effetti, fu. La Barbaux cantò benissimo ed ebbe un trionfo, Yves Bisson che era Mercutio cantò malissimo ed ebbe pure lui un trionfo, Roger Soyer mise in mostra gran morbidezza e fu poco applaudito (la voce era flebile) ed infine Alain Vanzo cantò molto bene ma fu impietosamente fischiato. Mi dissero, anni dopo, che il tenore monegasco monopolizzava le scene d'oltralpe ed il pubblico lo sopportava poco. Sarà, ma trovai quelle contestazioni estremamente ingiuste.
Riascoltai Vanzo due anni dopo a Marsiglia in Werther. Fu una avventura abbastanza curiosa perché, del capolavoro di Massenet, sentii ben due produzioni in due giorni consecutivi. Prima a Montecarlo con Kraus poi, appunto, a Marsiglia con Vanzo. Me ne perdonino i fans del tenore canario ma, vuoi perché Vanzo a fianco aveva l'ottima Alexandrina Miltcheva mentre Kraus cantava con l'inerte Jimena Llanos, ma trovai la produzione marsigliese superiore (e di un bel po') a quella monegasca. L'affinità timbrica tra i due era evidente. E così pure le intenzioni interpretative, poetiche e sognanti per entrambi, ma Vanzo aveva in più, rispetto a Kraus, una vemenza ("Albert vous aime? Qui ne vous aimerais...") che a Kraus era preclusa. Sicuramente il miglior Werther da me ascoltato a teatro. Lasciamo scivolare il Robert le diable all'Opéra di Parigi (quella vera, il Palais Garnier) non perché Vanzo non fosse all'altezza, ma il ruolo non gli si addiceva e Rockwell Blake che lo sostituì dopo due repliche gli fu immensamente superiore ad onta di un francese discutibile e di una voce legnosa.
E veniamo all'ultimo atto: la Mireille di Gounod a Vaison la Romaine, una cittadina fantastica che ospitava un Festival in un antico teatro romano. Purtroppo, alcuni anni dopo, un’onda anomala dell'Ouvèze dopo un'alluvione, fece strage di ragazzi in un campeggio sul bordo del fiume. Queste cose, purtroppo, succedevano anche nella civilissima Francia di Mitterrand (un gigante della politica) e non solo da noi. I francesi, però, sono riusciti a correre ai ripari. Noi, ahimè, no.
Torniamo a Mireille. Intanto è un'opera graziosissima e godibile che sarebbe opportuno riproporre più spesso. E Vanzo fu un Vincent impagabile. Dalla "chanson de Magali" spumeggiante e sospirosa fino ad un"Anges du Paradis" drammatico e coinvolgente la sua fu davvero una prestazione maiuscola, da incorniciare. In Italia, nonostante le origini trentine, non ebbe mai grande fortuna. Ricordo una Carmen all'Opera di Roma in cui, causa sciopero dell'ultima ora, si affrontò il pubblico senza coro.
Anche la discografia ufficiale fu scarna e poco valorizzata, considerata la bravura dell'interprete. La Mireille con la Freni, Les pêcheurs de perles diretti da Prêtre, la bellissima Pèrichole con la Crespin, Le roi d'Ys diretto da Pierre Dervaux, alcune selezioni di opera per la Vega, romanze varie che ebbero diffusione quasi esclusivamente in Francia e, tra i lives, Les Huguenots ed uno splendido Pays du sourire in francese, poetico e magico. Da dimenticare, per contro, l'Andrea Chénier e La bohème di Leoncavallo, i cui ruoli erano decisamente al di sopra delle sue possibilità. Se dovessi scegliere, però, suggerirei il Rigoletto in francese con Massard e Renée Doria dove tratteggia un duca spavaldo ma elegantissimo.
Alternò l'attività di cantante con quella di compositore. Ma in tal veste, come Schipa, non ebbe molta fortuna e le sue operette e romanze oggi sono state travolte dal vortice dell'oblio.
Riascoltare, oggi, Alain Vanzo porta una ventata di vera arte nelle nostre vite.
Carlo Curami